lunedì 15 marzo 2021

Paul POGBA


Se non ci fosse dentro qualcosa di grande come la Juventus – scrive Enzo Palladini sul “GS” dell’aprile 2016 –, verrebbe il sospetto che una città come Torino è troppo piccola per uno così. Cittadino del mondo come pochi altri possono pensare di essere. Poliglotta 2.0 nel senso che parla tre lingue sul filo dell’ortodossia e tutte con un’efficacia che disarma. A suo modo anche magister elegantiarum, anche se trattasi di elegantia riservata a una nicchia con allegate acconciature postmoderne difficilmente sfoggiabili allo sportello di una banca.
Un soggetto come Paul Pogba starebbe bene in qualunque quadro e in qualunque scenario. Unito a un autore come Mino Raiola potrebbe recitare qualunque ruolo. Di gente che viene dal basso, che ha respirato la polvere delle periferie, normalmente si pensa: chissà come sarebbe finito, se non avesse fatto il calciatore e fosse rimasto nella banlieue di Roissy-la-Source. Non esiste la controprova, ma Pogba poteva fare tutto quello che ha a che fare con l’arte del terzo millennio. La classe con cui addomestica un pallone poteva essere trasferita sul ballo, sul rap, sull’arte di strada. Paul poteva essere qualunque cosa, ma non un emarginato, non un rifiuto della società. Un artista, quello sì. Magari non sarebbe diventato uno dei dieci rapper migliori del mondo o un ballerino come Michael Jackson, ma ci si sarebbe avvicinato.
Ed è forse proprio questo che vuole trasmettere al mondo: qui c’è arte, c’è gioia, c’è divertimento allo stato puro. Ma anche ambizione: «Io lavoro e gioco per essere il numero uno, non mi interessa essere secondo. Il mio sogno è quello di vincere il Pallone d’Oro. Ho ancora voglia di imparare, crescere, cercare di migliorare. L’Europeo e la Champions League, voglio prendermi tutto. Non sono uno che dorme sugli allori».
Pensieri pesanti e parole forti, consegnati a Telefoot il giorno dopo la vittoria sul Napoli in campionato, insieme a un piccolo aneddoto che potrebbe significare moltissimo: «Alla serata del Pallone d’Oro ho parlato con Messi. Mi ha dato dei consigli importanti». Uno di questi magari è legato alla prossima maglia da vestire. Chissà.
Il palcoscenico ha poi un suo perché. Lo Juventus Stadium gli veste addosso giusto giusto, non gli va largo e rischia di diventargli un po’ stretto. Ma non lo ammetterà mai, perché chi ha mangiato pane duro sa meglio degli altri quanto sia buono quello morbido. Magari con una spalmata di foie gras sopra. Certo, quando legge che il Barcellona sta pensando a lui non può restare insensibile. Il Camp Nou è un po’ come il Louvre del calcio: quando le tue opere sono esposte lì, diventano automaticamente immortali. Il physique du role ce l’ha, anche se nel caso in cui dovesse trovarsi a firmare un contratto nella sterminata sala dei trofei, sicuramente si sentirebbe sussurrare all’orecchio qualche consiglio in fatto di look, magari leggermente più sobrio. Ci sono passati tutti, da Neymar ad Arda Turan. Nessuna eccezione. Ma qui può intervenire ancora Raiola con la sua preveggenza. Meglio il contratto della vita che una cresta verde. Si risparmiano anche i soldi del coiffeur.
Ci credono in tanti a questo futuro blaugrana. Ci ha creduto un po’ troppo Sport, quotidiano catalano che è arrivato a sbattere un paradosso in prima pagina: Paul così innamorato di quei colori da essere disposto a ridurre le sue pretese pur di dire sì al Barça. Evidentemente non conoscono Raiola, che ha ritenuto opportuno rispondere (era il 15 febbraio) con la sua consueta dose di veleno: «L’articolo di Sport non ha senso. Pensano anche che Messi stia chiamando il Real Madrid. È più facile che io diventi l’agente di Guardiola che Paul si offra a qualcuno. Certe notizie sono carta straccia. Sport ha un solo lettore ed è Pinocchio».
Pregasi prestare attenzione alla differenza tra forma e sostanza. Raiola qui smentisce la forma e non la sostanza di una possibile trattativa. E chi si occupa di mercato da sempre segue una regola precisa: una smentita molto forte deve far rizzare ulteriormente le antenne, vale più di tanti “può darsi” e di tanti silenzi. E comunque, seguendo una delle tante regole non scritte che governano il calciomercato, quando qualcuno cala un asso, qualche controparte deve rispondere giocando un’altra carta pesante. Così è stato lo stesso Paul a buttarla lì: «Mi piacerebbe un giorno lavorare con Guardiola». Messaggio nemmeno troppo cifrato, che il Pep ha ricambiato con una mozione di gradimento proprio alla vigilia di Juventus-Bayern di Champions League. Niente di illecito o di condizionante, visto che tutti sanno del futuro guardioliano a Manchester sponda City. E il bello di Pogba è proprio questo, si può arrivare a qualunque iperbole anche economica quando si parla di lui. Niente è inverosimile.
Ancora a proposito di palcoscenici, ce ne sono alcuni che sono pronti a ospitare l’arte di Paul, anzi che l’aspettano come un Messia. Gli Europei quest’anno sono in Francia e l’occasione fa l’uomo genio. Con i suoi ventidue anni e con la sua capacità di rendere facile tutto quello che per i comuni mortali risulta difficile, al limite dell’impossibile, Pogba è il protagonista designato di una rassegna continentale che promette – e non è detto che mantenga – uno stravolgimento dei valori tradizionali.
Lo juventino è il fattore che può sparigliare tutto, il catalizzatore che può risolvere una partita con un inserimento, può addormentarla con la sua capacità di trattenere il pallone, può valorizzarla con quei colpi che solo chi ha il suo coraggio può tentare e solo chi ha la sua classe può finalizzare. La Francia si aspetta tutto questo da lui, il citì Didier Deschamps più di tutti, ma sa benissimo che non sarà facile per lui gestire al meglio tanto talento e tale aspettativa. Il ragazzo che amava Zidane e Bolt è il primo a rendersene conto: «Noi della Francia abbiamo tutto per poter fare bene e vincere. Deschamps è un allenatore che ha vinto tanto nella sua carriera. Il mio amico Evra è un capo che non ha nemmeno bisogno di indossare la fascia per farsi rispettare da tutti. Leader vero. Spero che tutto sia targato Francia, che il capocannoniere sia dei nostri e le sorprese siano tutte francesi. Abbiamo una grande voglia di raggiungere questo traguardo, se vinceremo l’Europeo prometto una bella danza con un nuovo bellissimo taglio di capelli».
Qualcuno scrisse del grande Gullit: «Ruud è un ragazzo che potresti incontrare in qualunque posto del mondo, anche accanto a casa tua». Detto con assoluta sincerità, venticinque anni fa questo era un paradosso. Gullit portava le treccine rasta e si presentava come una specie di monumento in mezzo a esseri umani ordinari; l’Italia di fine Anni ‘80 era ancora un posto dove il concetto di società multietnica era un’astrazione nello spazio e nel tempo. Oggi viviamo in un altro mondo e in un’altra Italia. Se scriviamo, parafrasando, che «Paul è un ragazzo che potresti incontrare in qualunque posto del mondo, anche accanto a casa tua», esprimiamo un concetto normale.
Anche perché è vero, Pogba è abbastanza facile da incontrare per la strada. A differenza di molti calciatori, ha scelto di abitare in piena città, esattamente in Corso Agnelli, a pochi metri dallo Stadio Olimpico, in un appartamento che appartiene a Ciccio Grabbi, un ex giocatore che nella Juve non ha avuto la stessa fortuna di Paul e che si è dovuto accontentare delle briciole. Sostanziose, ma sempre briciole. Quando esce di casa alla guida della sua Audi TT nera con i vetri oscurati riesce a passare quasi inosservato, ma quando decide di farsi una breve camminata nel quartiere di Santa Rita non può esigere l’anonimato. I ragazzini lo vedono da lontano, lo inseguono, lo fermano per chiedergli selfie e autografi che lui, a onor del vero, concede sempre con una disponibilità difficilmente riscontrabile in molti suoi colleghi. Le origini non si dimenticano e un sorriso arricchisce chi lo riceve e chi lo dà.
Quel sorriso però aveva abbandonato il suo volto alla fine dell’estate 2015. Un momento di difficoltà personale che non ha avuto un’eco esagerata, ma che ha condizionato non poco il suo inizio di stagione. Non sempre chi ha successo nella vita ha anche una fortuna totale in amore. Paul in quel periodo è stato lasciato dalla fidanzata Lisa Thiolon, con la quale conviveva da un po’ di tempo. Sembrava un grande amore, c’erano già le premesse per un matrimonio in grande stile dopo quattro anni di passione e tante apparizioni pubbliche, poi invece adieu per sempre, nonostante qualche incursione puntualmente paparazzata in una gioielleria milanese per scegliere quelle che dovevano essere le fedi nuziali. Pogba non ha mai esternato sensazioni negative in quel periodo, anche se c’era qualcosa di sospetto nelle sue prestazioni. Non tutto gli riusciva bene come nella stagione scorsa, certe partite sotto il sette in pagella non erano da lui. Poi se n’è fatto una ragione, ha ripulito la mente dalle negatività, è tornato a giocare come sa e a far brillare gli occhi del suo amico manager Mino, che leggendo bene il bilancio della Juventus intasca 500.000 euro per ogni stagione che Paul disputa con la maglia bianconera, a titolo di commissioni per il suo lavoro di agente. Se poi un domani – i tifosi bianconeri si augurano dopodomani – ci dovesse essere un trasferimento, tutto questo verrebbe ridiscusso e riadeguato, con la nuova società detentrice del cartellino. Tanta roba, come sempre quando si parla di Raiola e dei suoi assistiti.
Sì, ma Torino in tutto questo? Torino, città grande se osservata da Chivasso, diventa piccolissima se vista dal mondo. Ed è un bel pezzo di mondo quello che Pogba mette insieme quando ha voglia di farlo, quando decide che in quell’appartamento per il quale versa un canone di locazione al signor Grabbi Corrado detto Ciccio, devono trovare posto tutti i suoi amici: quelli che arrivano dalla Francia e dalle altre parti del mondo. Perché Paul è nato in Francia, ma è di tutto il mondo. Quando arrivano loro, gli amici del fenomeno, i vicini rimpiangono i bei tempi, quando ci abitava altra gente. Musica e risate hanno pochi freni inibitori, sempre che si decida di stare lì. Se invece si decide di non stare lì, la mèta non è mai un locale di Torino. Troppo piccola quella città per un gruppo di cittadini del mondo con la voglia di divertirsi. Se c’è da fare serata si va a Milano, come del resto fanno quasi tutti i giocatori della Serie A italiana. Attrazione fatale, anche a costo di prendere un aereo privato. All’Hollywood di Corso Como ci andava Ibrahimović quando giocava nella Juventus, figuriamoci se non ci può andare Pogba con i suoi amici. Sempre e soltanto nei giorni consentiti dai regolamenti societari. Con la Juve non si scherza.
In una sera di aprile del 2014, nella sala riunioni degli studi Mediaset a Cologno Monzese, guardando Benfica-Juventus su un maxischermo, Piero Chiambretti ha raccontato un curioso aneddoto: «Pogba è veramente un ragazzo serio. Certe sere attraversa mezza città, viene al mio ristorante, si fa cucinare una coscia di pollo, se la fa confezionare e va a casa a mangiarsela».
Lo juventino Pogba e il torinista Chiambretti, una strana accoppiata anche per le modalità espresse in questo breve racconto. Ma era un Pogba ancora in fase di lancio, un ragazzo che stava scoprendo Torino. Poi le sue abitudini si sono leggermente modificate. Adesso il suo pasto preferito è il kebab e la fortuna è che ha un kebabbaro proprio sotto casa, il che gli consente di rifornirsi con una certa facilità. Ma ce n’è un altro che gli piace molto e al quale ha regalato anche un sacco di sue foto autografate, in via XX Settembre angolo Corso Vittorio. Ai tempi di Conte doveva rispettare una dieta programmata nei minimi particolari, adesso si sente un po’ più libero: ha imparato anche a cuocersi la pasta da solo e va un po’ di più al ristorante. Botte di vita, si fa per dire. Perché le vere botte di vita sono quelle che si possono organizzare tra le mura domestiche oppure un centinaio e mezzo di chilometri più in là, nel divertimentificio, come lo chiamano i milanesi che vivono la movida.
Vita normale di uno dei pochi top player che la Serie A possa ancora permettersi, anche a costo di grandi sacrifici economici e di un corteggiamento spinto nei confronti del suo mentore Mino Raiola. Per quanto tempo il nostro campionato potrà ancora fregiarsi di questa medaglia, oggi non è dato saperlo. Più facile immaginare che a Manchester, sponda United, si stiano autoflagellando per averlo perso praticamente a costo zero; che a Manchester, sponda City, siano pronti a molto per vestirlo del colore sky blue; e che a Barcellona fingano disinteresse ben sapendo che farebbe molto comodo. A Torino per ora se lo godono, ma se non ci fosse una cosa grande come la Juventus sarebbe troppo facile pensare che quella città è troppo piccola per uno così.

MASSIMO ZAMPINI, DA JUVENTIBUS.COM DEL 7 AGOSTO 2016
È pressoché impossibile mettersi nei panni di Paul Pogba, dire quale sarebbe stata la scelta giusta, certificare noi cosa avremmo fatto al suo posto. Dovremmo immaginare di essere un ragazzo francese che a sedici anni viene preso dal Manchester United, la squadra più famosa del mondo. Di giocare lì per tre anni, in quell’età dove noi finiamo lentamente l’adolescenza mentre loro, i giocatori, quelli veri, sono già adulti, fuori casa da chissà quanto. Di avere un allenatore che crede in te, ma non ancora, non quanto vorresti, e allora arriva una squadra dall’Italia (LA squadra dall’Italia, quella di Platini, Zidane, Deschamps, Trézéguet e compagnia) che sta rinascendo, mentre tu stai nascendo e ti coccola, ti lusinga fino a convincerti. Ti spiace lasciare Manchester, ma sai quanto sei forte e scommetti su di te, sapendo che un centrocampo con Pirlo, Vidal e Marchisio è fortissimo, quasi perfetto, ma sei quasi perfetto anche tu, e perfetto lo sarai presto, quindi non puoi avere paura.
Dovremmo immaginare, in quel Juventus-Napoli dell’ottobre 2012, di subentrare a un quarto d’ora dalla fine a Vidal e di aspettare un pallone che scende piano proprio per aspettarti, fino a quando non lo prendi al volo di sinistro e lo scarichi proprio all’angolino. Nelle immagini si vede Mazzarri, l’inventore mondiale del 3-5-2, che si dispera mentre sulla nostra panchina festeggia Alessio e viene da ripensare a quante ne abbiamo passate, caro Paul, in questi anni, rimanendo sempre lì al nostro posto. È esattamente quello il momento in cui tutti capiscono di essere di fronte a un calciatore speciale. Ma se solo davvero ci immedesimassimo in Paul non saremmo sorpresi, perché è proprio per quello che siamo andati alla Juventus, mica per aspettare di compiere 22 anni guardando gli altri dalla panchina.
E, infatti, ci prenderemmo il posto, anno dopo anno, e la nostra maglietta diventerebbe la più ambita da una generazione di piccoli juventini, fino a salire di numero, di grado, di importanza e diventare la 10. È in quell’estate che Marotta incontra il Barcellona, all’uscita ci regala una foto di rito con la dirigenza catalana e il mondo immagina che OK, magari non questa estate ma Pogba è stato già venduto al Barcellona. Ci aspetterebbero al varco anche là, con la numero 10, il Barcellona alle porte, le pressioni che esplodono, ma dopo un inizio complicato supereremmo anche questa prova, vincendo da protagonisti l’ennesimo scudetto di fila. A quel punto (eccoci, finalmente) l’accordo col Barcellona se lo sono già scordati tutti, era la solita boutade. Ma ci sarebbero comunque le solite voci di mercato, le interviste abbracciato a Evra, la voglia di Juve ma anche di mettersi alla prova altrove, magari in un campionato dove negli ultimi anni non ha vinto sempre la stessa. Dove si guadagna di più, certo, molto di più, ma non solo, perché il Manchester United è casa ed è sempre la squadra più ricca, conosciuta e più amata del mondo e vale la pena, partito a parametro zero perché non c’era posto in squadra, tornare da calciatore più pagato della storia del calcio. Sì, è una cosa da Paul Pogba. Non male, come storia.
Ma è complicato immaginare tutto questo e allora restiamo noi, che quel giorno col Napoli ammiravamo estasiati dalla tribuna, al gol contro l’Udinese quasi non ci credevamo, nel vederti cercare le zidanate a metà campo talvolta sbuffavamo, nell’elencare i tanti parametri zero ci mostravamo inorgogliti partendo sempre dal tuo nome («allora, intanto Pogba, poi Khedira, Llorente, Coman, Evra», ecc.), di fronte alla goffa rabbia di chi non vince mai e ti riteneva sopravvalutato ridevamo di gusto («non vale 70, non vale 80, non vale 90, lo sta montando la stampa» e noi giù a ridere festeggiando scudetti) e ora eccoci qua, a vivere il calciomercato più incredibile di sempre, tra arrivi straordinari e partenze che lasciano un po’ di magone, perché ci sarebbe piaciuto farci qualche altro anno insieme. E allora buona fortuna, Paul, ma da ora l’unico interesse al momento è sapere che farà Higuaín, chi verrà al tuo posto e come sta Marchisio. Il resto è un gran ricordo ma è già l’ultimo dei nostri pensieri.

ENRICO DANNA, DA TUTTOJUVE.COM DEL 9 AGOSTO 2016
Caro Paul, è stato bello intraprendere questo viaggio con te, un viaggio durato quattro anni, nei quali abbiamo gioito molto e patito qualche delusione (vedi finale di CL); un percorso che ti ha visto crescere in modo esponenziale, probabilmente inaspettato, per quanto è stato rapido ogni tuo passo verso l’élite del calcio. Tutti noi sapevamo che prima o poi ci saremmo separati e, davanti a certe cifre, probabilmente è impossibile dire “no”, qualunque sia l’angolo di osservazione degli eventi. Del resto, non sei cresciuto nel vivaio bianconero e quindi non potevi avere tatuato (nemmeno abbozzato) quel DNA zebrato che avrebbe potuto incidere nelle scelte. L’importante è che si sia trattata di una tua scelta, perché, nel bene e nel male, è sempre meglio poter dire di aver usato la propria testa.
Ciò che ha lasciato un po’ perplessi i tifosi juventini è stata tutta la pantomima messa in scena nell’ultimo mese, probabilmente orchestrata in modo abile e opportuno da sponsor e agente, con la tua complicità (diretta o indiretta che sia). Ecco, questo si poteva in qualche modo evitare. Nessuno ti avrebbe fatto una colpa per un affare che arricchisce e sta bene a tutti, ma c’è modo e modo di fare le cose. In fondo, un pizzico di gratitudine in più (che sappiamo benissimo essere merce rara nel calcio) verso i tifosi della Vecchia Signora e verso la Juventus stessa non avrebbe fatto schifo. Se è vero che in quel di Manchester sei cresciuto e che il tuo ritorno alla corte dei Red Devils è una scelta di cuore (che più che battere, tintinna), è anche e soprattutto vero che quattro anni fa, la Juventus dimostrò di credere in te, portandoti a Torino e permettendoti di diventare il calciatore che sei ora, mentre, in terra d’Albione, stazionavi amabilmente tra l’aiuto cuoco e l’aiuto magazziniere. Bisognerebbe ricordarseli certi particolari, perché sono quelli che creano i nostri percorsi di vita e ci fanno diventare ciò che siamo.
Vedi, caro Paul, fa male leggere che quella di Torino è stata, per te, come una vacanza. La divisa della Juventus è gloriosa tanto e più di quella che vai a indossare ora. Ti ricordiamo che hai portato sulla maglia il numero di un campione come Gaetano Scirea, grande Uomo prima che giocatore. Se ti si può dare un consiglio, caro Paul, vista la tua giovane età, è quello di studiare il compianto Gai, perché se è necessario migliorare costantemente come calciatore, lo è, a maggior ragione, migliorarsi quotidianamente come uomini.
Sei giovanissimo e quindi è logico (e anche giusto) che tu possa errare o comunque colorare il tuo percorso di sfumature stonate (lo abbiamo fatto tutti), ma nel momento in cui sei osannato e amato da una tifoseria, dovresti portare più rispetto per chi, in questi quattro anni, ti ha acclamato, applaudito e aiutato a diventare quello che sei. Vuoi crescere e diventare il migliore e questo ti fa onore, ma se permetti, al momento, è difficile pensare che ti sia più agevole raggiungere certi traguardi con una squadra che negli ultimi anni non ha brillato (per usare un eufemismo), che nella stagione in corso non disputerà la Champions League e che è sicuramente forte dalla trequarti in su, ma è imbarazzante nella fase difensiva. Alla fine, però, ogni decisione va rispettata e accettata: è la legge della vita, non solo dello sport. La prossima volta che farai una scelta di cuore, però, ricorda di metterlo in primo piano, il cuore.
In bocca al lupo Paul et merci pour tout. Ti auguriamo tante vittorie (tranne nel momento in cui dovessimo mai incontrarci da avversari) e un futuro radioso.

GIACOMO SCUTIERO, DA JUVENTIBUS.COM DELL’11 AGOSTO 2016
Appena tre mesi dopo il suo sbarco a Torino, messaggio con il maestro Roberto Perrone sul diciannovenne che a Vinovo stupisce tutti. Mi scrive solo sei parole: «È un predestinato, sarà un grandissimo». Mi fido, gli credo. L’attitudine del primo (e soprattutto del secondo, terzo, quarto) Pogba è la spontanea e solenne disinvoltura nello “snellire il traffico” (made in Roberto Beccantini). Patrick Vieira? Sì, ma c’è dell’altro. Il suo primo allenatore al Roissy racconta che era un nove e mezzo, ma poi tradisce la tattica e confessa: «Faceva tutto, recuperare, assistere, segnare, e si incazzava pure». Facendo rassegna stampa, archivio spesso ritagli di giornale. Mai visto un giocatore dichiarare così tante volte di puntare al Pallone d’Oro. Un francese molto inglese e United come Eric Cantona benedice da subito la scelta di Pogba di lasciare Manchester per raggiungere la Juventus. Il perché dell’abbandono è arcinoto, Paul lo ricorda senza freno a ogni intervista: «Dissi a Ferguson che ero pronto per giocare. Contro il Blackburn era disponibile solo Park a centrocampo; schierò Rafael, non me… E me ne sono andato». Pretesto della fattispecie a parte, non era considerato abbastanza e voleva giocare.
Un ragazzo che vuole apprendere e apprende. La lingua: (imparato l’italiano) su sua richiesta, Llorente gli insegna lo spagnolo appena i due iniziano a vivere insieme il tempo libero. La disponibilità: «A me basta essere in campo, gioco dove vuole l’allenatore». La professionalità: «Vorrei divertirmi un po’ di più, ma il calcio pone degli obiettivi da raggiungere e per vincere devo fare dei sacrifici». Lo step by step, che mai come oggi odora di annuncio non colto: «Fare la storia della Juve? Io voglio fare la storia di questo scudetto». A proposito del rapporto con chi decide cessioni e rinnovi, il ragazzo non resta bene quando la dirigenza non affronta l’argomento del nuovo contratto prima del termine della stagione 2013-14. Ma la Juve fa così e, dopo due anni di Torino, Pogba lo avrebbe dovuto sapere eccome. Intanto, in quel periodo, lo Stadium sciorina “Non si vende Pogba!” ogni settimana. Non passano molti giorni e appare il suo agente, Mino Raiola: «A lui interessa solo la Juve, il matrimonio è perfetto». Tutto chiaro, no? Anche l’ingaggio del francese di allora: un milione e mezzo per altri due anni, pochino per chi ha già dimostrato di poter divorare la Serie A. Basta attendere la fine dell’estate e l’inoltro dell’autunno per ottenere il doppio tre: gli anni di contratto aggiunti e la moltiplicazione dello stipendio.
Paul ha mai detto di voler giocare nel Real e nel Manchester, ha sempre detto quel che è innegabile e più significativo: «Sono top club, come la Juve». La seconda parte dell’anno 2014 è la fase in cui la società Juve comprende al 100% di avere in casa il prossimo numero uno dei tuttocampisti. Per le due stagioni strabilianti, per gli interessamenti di mittenti autorevoli che giungono in sede. Chi parla mai, quando parla va ascoltato. Specie se risponde al nome di Fabio Paratici: «Non immaginate quanto grande sarà Pogba. Sono convinto di questo, per il giocatore che è e soprattutto per la testa che ha». Il Direttore Sportivo fa la parte dello scudo preventivo del Polpo, che inizia a ricevere una catasta di critiche circa il suo modo di interpretare il calcio, di vivere i novanta minuti, di fare una scelta piuttosto che un’altra. Senza molti giri di parole dolci, il suo commissario tecnico Deschamps: «Fa troppe giocate superflue». E mister Allegri: «Mi fa arrabbiare, perché ha potenzialità incredibili, da zero errori a partita. Deve sbagliare molto meno». At last and least, ci sono anche io. Paul rigetta l’etichetta di frivolo, senza pensieri, leggero: «Questo è il mio calcio, sono così». Ma, come detto, vuole sempre apprendere per migliorare: «A volte tendo a esagerare. Devo mettere a posto qualche dettaglio se voglio diventare davvero forte». Parola sua e di Tévez: «Ogni mattina lui ti abbraccia e dà un bacio. Nelle interviste dice quello che è giusto, di valere zero. Per questo diventerà un campione».
Una delle definizioni di Pogba che più apprezzo è firmata dal moda-manager Giulia Mancini: «Fa cose da eroe, da fumetto». Ma a soli 21 anni gli rinfacciano qualche pausa di concentrazione in partita, senza ricordare che, alla stessa età, Messi e Cristiano Ronaldo non erano migliori in quell’aspetto. Se una parte, il collega Niang, chiude un occhio («Ha abituato troppo bene…»), dall’altra ripiovono letterine a forma di freccia inviate ora da Moggi e ora da Nedved: «Deve essere meno bello e più concreto, più determinante». Il ragazzo comincia a palesare fastidio. I media pongono sempre la stessa domanda e lui se ne esce come mai: «Qualsiasi cosa dico non vengo creduto», in riferimento al fatto che per lui la Juve (non) è un top club abbastanza stimolante.
All’inizio dello scorso anno, nessuna testata scriveva che Pogba sarebbe stato bianconero anche nella stagione 2015-16. E invece… L’ex allenatore Conte sembra rimbambito dall’assiduo studio della lingua inglese: «Vendi lui e compri tre top». E mentre Zenga scova l’unico difetto del francese, «Non sa cucinare», ricompare Raiola. Mino comincia a parlare con la Juve, faccia a faccia e sui giornali: «Con Agnelli abbiamo un patto: Paul non deve andare via per forza, perché non c’è bisogno di soldi. Il Real lo ha chiesto, ma non mi piace il loro atteggiamento: hanno storto la bocca alla cifra di 50 milioni… Lui ama le sfide, lasciare Manchester lo fu. Rischio e coraggio, così cresci. Se Pogba sceglie una squadra e un’altra offre di più alla Juve, tra me e la Juve sarà guerra». Abbastanza chiaro, eh. All’inizio dello scorso anno, dicevo. È importante perché il giocatore è all’epoca non sponsorizzato, ma con avance milionarie di Adidas e Nike. Non è un quotidiano italiano, ma “L’Equipe”, a piazzare la Juve tra i top club meno qualcosina; è l’anticamera dell’accordo con Adidas, che per Paul gradirebbe più la maglia red e blanca a quella bianconera.
Il Barcellona fatto fuori? Commercialmente parlando, sì. Anzi, di fatto gli spagnoli fanno fuori loro stessi: «La Juve vuole cederlo? E poi chissà qual è la strategia di Raiola…». (Josep Maria Bartomeu). Il presidente pare aver già capito tutto. A Madrid, “AS” non fa una gran pubblicità al Real: il club non sarebbe interessato perché «Pogba è troppo mammone, non esce la sera, è molto religioso». Vai a capirli… Ad affossare la Liga e spianare la strada verso la Premier, ci pensa “Marca”: «Cento milioni per Pogba? Sì, 40 di cartellino, 30 per l’acconciatura e 30 per i tatuaggi…». In Inghilterra parla Mourinho, che però allena il Chelsea e non il Manchester United: «Pogba è un giocatore straordinario, ma è della Juve e la Juve vuole tenerlo. Ci sono giocatori che puoi avere e giocatori che non puoi avere». Fantascientifico rileggere José oggi. E la Juve che fa? C’è Marotta: «Ci ha chiesto di rimanere, non vogliamo venderlo, non stiamo trattando». Lo stesso Marotta che tre mesi prima diceva di aver problemi a trattenere un giocatore cui gli viene offerto un ingaggio da 10 milioni. Di fatto Pogba resta un’altra stagione. E resta «l’assegno circolare in mano alla Juve» (Massimiliano Nerozzi). Lui, che in ritiro saluta la partenza di Vidal sui generis: «Ha fatto bene ad andare al Bayern».
Il 2016 è storia recente, nota e ben ricordata. La Juve vince il quinto scudetto consecutivo, Pogba il quarto. Il mister degli ultimi due è ospite in RAI: noi pensiamo di capire tutto, ma tra ripetizioni di Fazio e smorfie di Allegri, in realtà capiamo poco. Poi c’è la vacanza americana di Paul (e Mino). E soprattutto per noi il mercato sontuoso della Juve. Un fotografo coglie Marotta pensieroso (il Polpo in testa…) durante la firma del contratto di Pjaca. “Il Giornale” e Damascelli ricordano come il giocatore sia idolatrato a Torino: «Fuori lo Stadium comprano prima la maglia di Pogba e poi il maglione di Marchionne». Tante parole. “Blah Blah Blah” è lo slogan multi-understanding di luglio e agosto: l’illusione per il tifoso, che non riesce ad accettare sia solo un «Decidiamo noi (giocatore, mediatore, sponsor) quando firmare e come arrivare alla firma». L’annuncio di Pogba-Manchester United arriva dallo stesso giocatore quando in Italia sono le due di notte. Surreale. Come tutto il percorso estivo che lo porta a essere il calciatore dal cartellino più pagato della storia e con l’ingaggio più alto della maggiore Lega europea. Il grande giocatore va, la grande Juve resta. Come sempre. L’Italia? Perde l’eccezionale condimento, perde l’introvabile ciliegina, perché per la maggior parte degli addetti ai lavori è mai stato la torta. Lo diventerà? Non è improbabile. Ma questo è “Blah Blah Blah 2.0”.

Sono solamente alcune delle tante testimonianze juventine al clamoroso trasferimento del ragazzone francese alla corte del Manchester United. Reazioni di stupore, di dolore e anche di rabbia, perché con Paul (e i grandi rinforzi estivi dell’estate 2016) ogni traguardo sarebbe stato possibile. Ma quello che più ha fatto male ai tifosi è stato il comportamento del Polpo e le sue dichiarazioni post cessione. Proprio lui che aveva chiesto (e ottenuto) di indossare la casacca numero 10, quella dei grandi. Proprio lui che era arrivato a Torino come un perfetto sconosciuto e che, grazie a quella che ha definito una vacanza, se ne è potuto andare da campione.
Ovvio, dalla Juve ha ottenuto tanto, ma ha anche dato tantissimo in cambio. Arrivato, come detto, come un oggetto misterioso, è stato lanciato nella mischia quasi subito da Conte, che ha creduto fin da subito nelle grandissime qualità di questo francesino dalla grandissima tecnica e da un tiro al fulmicotone. Ne sa qualcosa il Napoli, la sua vittima preferita, o l’Udinese che viene piegato da una sua memorabile doppietta, tanto per fare qualche esempio. Ma sono quattro anni pieni di Paul Pogba che, è vero, quando non ne ha voglia è indisponente e irritante ma che diventa il vero trascinatore della squadra quando si sveglia dal torpore e decide, da par suo, di risolvere le partite.
Se ne va forse nel modo peggiore e i mancati saluti dei senatori (sempre prodighi a “celebrare” gli addii dei compagni di squadra) stanno a significare che qualche patto non è stato rispettato. Restano di lui i tanti trofei conquistati e, negli occhi dei tifosi, le sue grandi giocate. Con lui in campo, nel bene o nel male, qualcosa poteva sempre succedere e, spesso e volentieri, valeva il prezzo del biglietto.
Ritorna a Manchester, nella squadra che non aveva creduto in lui. Rimpiangerà la Juve? Chi lo sa, certo non troverà un’altra società capace di coccolarlo e di viziarlo, ma un allenatore e una proprietà che pretenderà, dalle sue prestazioni, la giustificazione per i tanti soldi spesi. Pogba ha solamente 23 anni, una carriera probabilmente luminosa davanti. Ma sollevare la Coppa dalle Grandi Orecchie o il Pallone d’Oro con la 10 bianconera non avrebbe avuto nessuna eguale soddisfazione.

Nessun commento: