mercoledì 23 ottobre 2019

Alvaro MORATA


Arrivato come una specie di oggetto misterioso nell’estate del 2014 («È uno scarto del Real Madrid», dicevano in tanti), con una formula alquanto bizzarra – la famosa “recompra” – ha anche la sfortuna di infortunarsi al suo primo allenamento, in uno scontro con Rubinho, rimediando una distorsione al ginocchio che lo costringe a stare fuori dal campo per quasi due mesi. Metteteci pure che Allegri lo tiene in naftalina anche dopo la guarigione, ecco che l’etichetta di “pacco” gli viene cucita addosso come una seconda pelle.
Ma quando entra in squadra, nella trasferta vittoriosa di Bergamo, Alvaro dimostra di avere la stoffa del campione. Segna tanto, spesso e in tutti i modi, tanto da togliere il posto a Fernando Llorente, vero protagonista (in coppia con l’Apache Tevez) della stagione precedente. Fa faville soprattutto in Coppa dei Campioni: le reti al Borussia Dortmund e al “suo” Real Madrid portano di peso la Juventus a giocarsi la finale di Berlino contro il Barcellona. Purtroppo per la Vecchia Signora, Alvaro non delude (suo il punto del provvisorio pareggio) ma alcuni compagni sì e la Coppa dalle Grandi Orecchie sale sull’aereo con destinazione Catalogna.
Nel campionato successivo ci si aspetta la sua definitiva esplosione. Dopotutto, il Canterano ha solamente ventitré anni (essendo nato a Madrid il 22 ottobre 1992) e forse il successo gli dà un pochino alla testa. Fatto sta che l’inizio è deludente e presto perde il posto a favore di Mario Mandzukic (meno bello da vedere ma estremamente utile alla squadra) e il non avere più il posto fisso in squadra lo mandano in crisi sia dal punto di vista tecnico sia da quello caratteriale. Qualche buona prova, come a Manchester contro il City, ma lo splendido e implacabile goleador visto l’anno prima è improvvisamente scomparso.
Clamorosi gli errori che commette a Siviglia che, sommati alla rete dell’ex Llorente, condannano la Juventus al secondo posto del girone e al terribile match contro i fuoriclasse del Bayern. A Monaco disputa una grandissima partita, segnando anche un gol inspiegabilmente annullato dall’arbitro, ma la Juve deve abbandonare la competizione europea. In campionato le cose vanno meglio: doppietta a Verona contro il Chievo, altra doppietta nel derby di ritorno, gol scudetto contro la Fiorentina e due reti contro l’Inter in Coppa Italia. Fino alla finale dello stesso torneo quando, dopo solo due minuti dal suo ingresso in campo nei supplementari, su preciso cross di Cuadrado, buca la difesa milanista e permette alla Vecchia Signora di sollevare la coppa nazionale.
Finisce qui l’avventura di Alvaro Morata in bianconero. Le Merengues, infatti, esercitano la “recompra” e il Canterano ritorna a indossare la gloriosa maglia biancomalva di Madrid. Novantatré presenze, ventisette gol, due scudetti, due Coppa Italia, una Supercoppa Italiana e una finale di Coppa Campioni da protagonista: non male per quello che doveva essere solo uno scarto del Real Madrid.

ETTORE INTORCIA, DAL “GUERIN SPORTIVO” DEL DICEMBRE 2020
Se il calcio di Andrea Pirlo è “liquido”, come liquida è la società in tempi in cui il cambiamento è l’unica costante, per citare la definizione coniata da Bauman, il suo nuovo numero nove non poteva che essere Alvaro il giramondo. A ventott’anni ha vissuto una, due, tre, quattro, cinque vite – e contiamo per difetto – mettendo insieme esperienze diversissime, in campo e nel privato, due mondi iperconnessi, perché certe sue scelte professionali, e questa della Juve lo è più di tutte, s’intrecciano indissolubilmente con i fatti di cuore e con quei legami che anche un nomade come lui ha saputo costruire. A ventotto anni ha già una moglie, bellissima e italiana, tre figli e in cantiere chissà cos’altro. Ha vinto la prima Champions giocando pochi minuti in finale, ha segnato in una finale senza alzare la coppa, l’ha rivinta, la Champions, entrando giusto in tempo per vivere i pazzeschi supplementari di un derby epico. Prima e dopo, non si è mai fermato.
Per capire il calcio di Alvaro Morata bisogna partire proprio da questo concetto: mai fermarsi. È l’uomo delle andate e dei ritorni, quello che i muri non li scavalca e basta, no. A lui piace fare un po’ qua e un po’ là, seguendo la sua ispirazione. Su quel confine presidiato a vista dai tifosi, che separa l’universo dei Blancos da quello dei Colchoneros, ha danzato a piacimento. Alvaro nasce nel settore giovanile dell’Atletico, tanto per cominciare, negli anni in cui passano da quelle parti De Gea e Koke, giusto per fare un po’ di nomi. Poi decide che la cosa migliore è trasferirsi dall’altra parte della città, cioè al Real, e qui le cose iniziano farsi interessanti: il trionfo con la Juvenil A, cioè l’Under 19, in squadra con Carvajal, Lucas, Sarabia. Due su tre sono ancora lì, a Madrid, dalla parte giusta di Madrid, guardando la cosa dalla prospettiva dei tifosi dei Blancos. Questa è l’andata, dall’Atletico al Real. Per il ritorno a casa ci sarà da attendere qualcosa come otto anni: in quella parentesi ha vinto molto in altri due tornei dei Big Five (inclusa una Europa League), abbastanza per compensare il digiuno con l’Atletico, l’unico club con cui non è riuscito mai a fare festa. Deve essere questo il prezzo da pagare per averlo rinnegato all’inizio della sua carriera. O forse è solo un caso.
Nell’album di famiglia c’è una bella foto di Alvaro con papà Alfonso, al collo la sciarpetta bianca e rossa dell’Atletico. Alfonso, già manager di Cadena Ser, la più importante emittente radiofonica spagnola, non ha imposto nulla ad Alvaro, se non chiedergli di curare la propria istruzione pensando a un futuro oltre il calcio. Ma quando si è trattato di scegliere, tra Real e Atletico, ha sempre valutato cosa fosse meglio per il suo ragazzo, a prescindere dalle ragioni del cuore, cioè del tifo.
La realtà è che c’è un solo posto che Alvaro chiama casa, e le sue non sono parole buttate lì, tanto per arruffianarsi i tifosi bianconeri. Quando ha lasciato per la prima volta Madrid, sponda Real, sapeva che sarebbe tornato, era scritto sul suo contratto. Quando ha lasciato Torino, sperava di poter vestire ancora la maglia della Juve. E di farlo il più presto possibile. «Quando in un posto ti senti a casa, hai sempre voglia di tornarci», ha spiegato durante suo secondo battesimo in bianconero. E romantico pensare che la sua Alice, conosciuta in Italia e tifosissima bianconera, sia la vera artefice di questo ritorno. Più realisticamente, è la conferma di un teorema abbondantemente dimostrato dai fatti: chi ha lasciato andare via Alvaro, ha sempre fatto di tutto per riprenderselo. Non a caso lo spagnolo è al quarto posto nella speciale classifica (fonte Transfermarkt.it) dei calciatori più costosi sommando tutti i trasferimenti della carriera. Morata è a 179 milioni, cui andranno aggiunti altri 45 quando la Juve deciderà di riscattarlo (nel 2021 o nel 2022, poco importa, la cifra complessiva sarà la medesima). Davanti a sé ha solo Neymar, il compagno di squadra Ronaldo e l’interista Lukaku. Magari non entrerà mai nella top ten dei più pagati di tutti i tempi – serve la tripla cifra, finora solo Abramovich si è spinto per lui oltre la soglia dei sessanta milioni... – ma avrà lasciato comunque il segno in questa decade di calciomercato. Perché un Morata è di fatto un assegno circolare, buono come il contante.
Il Real lo ha ricomprato, la Juve lo ha acquistato due volte, Chelsea e Atletico hanno investito su di lui cifre importanti. Questo è l’aspetto economico. Ma c’è anche la dimensione tecnica. In questo suo girovagare per l’Europa, si è adattato a filosofie anche in palese contraddizione tra loro: da Ancelotti ad Allegri, da Zidane a Conte, quindi dal Cholo e dal cholismo alla nuova frontiera che Pirlo vuole esplorare al debutto in panchina. Al centro di un tridente o in un modulo a due punte, con o senza trequartista; gregario capace di approfittare degli spazi lasciati da un attore protagonista come Cristiano Ronaldo, presenza ingombrante per chiunque, ma anche solista in grado di reggere il reparto da solo, aspettando l’ispirazione di due rifinitori, come gli è capitato a volte al Chelsea e come gli capiterà ancora tante volte alla Juventus, per effetto del turn over.
Ha fisico – in Spagna il nickname è l’Ariete – ma senza strafare; è tecnico ma non eccede in virtuosismi; è indiscutibilmente una prima punta ma sa giocare con gli altri e per gli altri. E ha sempre fatto gol, è un dato di fatto: dalla prima stagione alla Juve in poi, è andato sempre costantemente in doppia cifra, anche nell’anno passato per metà a Londra e per metà a Madrid.
Alla corte di Pirlo cerca nuove risposte sul suo futuro. E forse ne potrà dare una a noi, che continuiamo a fissare una vecchia istantanea d’annata, lui col pallone e la maglietta dell’Atletico: mai guanti da portiere, esattamente, perché?

FABRIZIO RINELLI, DA FANPAGE.IT DEL 3 OTTOBRE 2022
Alvaro Morata pensava di dover giocare al fianco di Dusan Vlahovic alla Juventus in questa stagione e invece il suo futuro è nuovamente cambiato in poche settimane. Tornato in bianconero a settembre 2020 quando la Juventus dovette rinunciare a Dzeko nell'intricato affare con la Roma in cui anche il Napoli fu protagonista con la vicenda Milik, lo spagnolo si è subito rivelato fondamentale negli automatismi tattici della Vecchia Signora. Con Andrea Pirlo in panchina riuscì a chiudere la stagione con venti gol e dodici assist in tutte le competizioni. Soprattutto nella prima parte di quel campionato, Morata riuscì a convincere tutti tanto che la sua conferma anche per l'anno successivo era quasi scontata.
E infatti la Juventus usufruì del rinnovo del prestito con l'Atletico anche per la stagione successiva a fronte di ulteriori dieci milioni di euro sommati ai dieci precedenti della prima annata. In panchina c'era però Massimiliano Allegri in una Juventus che presto sarà profondamente trasformata. Segnerà dodici gol più nove assist giocando prevalentemente come esterno d'attacco. Allegri infatti non lo considerava proprio una prima punta e infatti con l'arrivo di Vlahovic il suo ruolo è profondamente cambiato.
Pensava che l'arrivo del serbo potesse chiuderlo da gennaio a giugno e infatti stava fortemente considerando di essere ceduto al Barcellona accettando l'offerta di Xavi, ma fu Allegri a convincerlo a restare. A fine stagione le strade con la Juve si sono però divise. Il riscatto a trentacinque milioni di euro pretesi dai Colchoneros era troppo alto per le casse bianconere. Il club deciso di farlo tornare all'Atletico nonostante la delusione di Allegri e lo scetticismo di Simeone, mai pienamente convinto di Morata. Lo spagnolo dopo un mese dall'inizio della stagione, è già insostituibile.

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