mercoledì 14 maggio 2014

L’ANATEMA DI GUTTMANN

ALEC CORDOLCINI, “GS” NOVEMBRE 2010:
Un mancato aumento di stipendio dopo la conquista della seconda Coppa dei Campioni, indusse il tecnico ungherese a lasciare il Benfica nel 1962, con una “gufata” che dura ancora.


Valicate le 60 primavere, l’ungherese di origine ebrea Béla Guttmann poteva legittimamente pensare di aver visto tutto, o quasi, nella propria vita. Aveva girato tre continenti; aveva vissuto in prima persona, da giocatore nell’American Soccer League, il crollo di Wall Street nel 1929, preludio alla Grande Depressione; era scampato alla furia dell’Olocausto riparando in Svizzera; aveva pianto un fratello deceduto in un campo di concentramento; era stato raggiunto, nel lontano Sudamerica, dalla notizia che i carri armati sovietici avevano invaso il suo paese soffocando nel sangue l’instaurazione di un governo progressista svincolato dall’URSS.
Dal punto di vista calcistico, Guttmann poteva altrettanto legittimamente affermare di aver allenato alcuni tra i più grandi campioni del panorama mondiale: Puskás, Kocsis, Czibor, Nordahl, Schiaffino, Liedholm, Zizinho, Coluna.
Cosa avrebbe potuto ancora riservagli la professione di allenatore, se non il piacere di insegnare quel suo sistema di gioco così innovativo e fecondo, quel 4-2-4 che aveva fatto la fortuna della Honved, della “Grande Ungheria” di Gusztav Sebeş nonché del Brasile Campione del Mondo 1958 di Vicente Feola (prima del Säo Paolo guidato da Guttmann nessuna squadra brasiliana si schierava con quattro difensori veri)?
La risposta giaceva in un piccolo villaggio del Mozambico e si chiamava Eusébio. Il più grande calciatore portoghese della storia. L’esperienza alla guida del Benfica rappresenta il fiore all’occhiello della zingaresca carriera di Guttmann, con 2 campionati portoghesi, una coppa nazionale e due Coppe dei Campioni vinte in tre anni, tra il 1959 e il 1962. Nel contempo però il soggiorno in Portogallo ha regalato al tecnico ungherese anche una delle più grandi delusioni della vita, quasi come se il destino avesse voluto punirlo per aver contravvenuto ad un motto da lui stesso coniato: «La terza stagione è fatale».
Traduzione: dopo due anni è meglio fare le valigie. Una massima alla quale Guttmann ha derogato una volta soltanto in trentun’anni di carriera (e 20 squadre allenate), proprio con il Benfica, club che il tecnico ha lasciato gonfio di rancore pronunciando una frase entrata nella storia: «Senza di me, il Benfica non vincerà più una finale europea».
Una maledizione (ma sarebbe più consono definirla una “gufata”) che permane tutt’oggi. Le fondamenta del Benfica futuro bicampione d’Europa erano state gettate da Guttmann fin dal momento del suo arrivo sulla panchina delle “Aquile”, quando aveva chiesto l’allontanamento di 20 giocatori, sostituiti da un paio di acquisti (il difensore centrale Germano e l’ala destra José Augusto) e da qualche prodotto del vivaio (tra i quali il mediano Cruz).
I 3 saranno titolari, con il portiere Costa Pereira, i difensori Joäo ed Angelo, il regista Mário Coluna, l’ala Cavém e l’attaccante José Águas, in entrambe le finali di Coppa dei Campioni vinte, la prima 3-2 contro il Barcellona, la seconda 5-3 ai danni del Real Madrid.
Nel mezzo, la scoperta di Eusébio, la cui paternità è da dividere tra José Carlos Bauer, ex nazionale brasiliano e giocatore di Guttmann ai tempi del Säo Paolo, e lo stesso maestro di calcio ungherese. La leggenda narra che il primo, di ritorno da una tournée nelle colonie portoghesi in Africa, aveva interrotto uno dei rari momenti di relax di Guttmann irrompendo nel negozio di un barbiere, dove si trovava il suo vecchio allenatore in attesa di una bella sfoltita di capelli, per condurlo a osservare «un ragazzo che non appartiene a questo mondo».
C’era però un problema: il diciottenne Eusébio giocava per un club affiliato allo Sporting, l’acerrimo rivale delle “Aquile”. È toccato quindi a Guttmann escogitare un piano per soffiarlo ai nemici di sempre.
Fase uno: 20.000 dollari versati sull’unghia alla madre della Pantera Nera. Fase due: un’auto all’aeroporto di Lisbona vicino alla pista di atterraggio per prelevare il giocatore prima degli emissari dello Sporting, in attesa fuori dal terminal. Fase tre: qualche giorno in un villaggio di pescatori nell’arcipelago dell’Algarve per aiutare Eusébio a riflettere sul contratto propostogli dalle “Aquile”. Una settimana dopo il successo contro il Barcellona in Coppa dei Campioni al Wankdorf di Berna, il fenomeno del Mozambico vestiva per la prima volta la maglia rossa del Benfica fresco Campione d’Europa.
Dopo Berna, Amsterdam. La capitale olandese era la sede scelta per ospitare la finale del 1962. E proprio tra i canali di Amsterdam camminava un rabbuiato Guttmann la sera prima di guidare le “Aquile” a difendere quel trofeo conquistato, tra lo stupore di molti, poco meno di dodici mesi prima. L’avversario era nuovamente un club spagnolo: il Real Madrid, che di Coppe Campioni ne aveva già messe in bacheca ben cinque, e Guttmann aveva appena scoperto che talvolta i nemici non si trovano nel giardino accanto, bensì nel proprio.
«Il suo stipendio è sufficiente», era stata la gelida risposta dei dirigenti lusitani di fronte ad una sua richiesta di aumento. Era la fine di una bella storia. Il mago ungherese lo aveva deciso passeggiando tra i canali: un club guidato da simili persone, pensava, non meritava di continuare a vincere con lui. Ai giocatori però lo disse solamente dopo il fischio finale, quando cominciarono i festeggiamenti.
A nulla valsero le lacrime di Eusébio, autore della doppietta decisiva per il 5-3 finale, né il carisma di Coluna, il giocatore scelto per convincere Guttmann a tornare sui propri passi: «Dalla vittoria della Coppa Campioni ho guadagnato 4.000 dollari in meno rispetto a quella del campionato, e nessuno ha voluto muovere un dito per cambiare le cose».
Con queste parole salutava il Benefica, prima di pronunciare l’ormai storico anatema. Mitologia o semplice suggestione, da allora le “Aquile” hanno perso tutte le finali disputate in campo internazionale. Guttmann, una volta lasciato il Benfica, riuscirà a togliersi la soddisfazione di vincere ancora un trofeo, l’undicesimo nella sua carriera da allenatore: il campionato uruguaiano con il Peñarol Montevideo. Con lui la pena del contrappasso non funzionava.


4 commenti:

Anonimo ha detto...

Non lo sapevo o ricordavo. L' ho sentita oggi a SKY Sport 24. Anche se non si capisce bene qualche sia la frase esatta: non vittoria per 100 in coppa dei campioni, nessun' altra vittoria in coppia dei campioni o nessun' altra finale europea.
Comunque veramente oh! Nella finale del 63 s' infortuna Coluna, nel 65 piove a dirotto e penso che l' acqua sia complice nell' errore di Costa Pereira, nell' 68 il Benfica a fine regolamentari becca un legno... boh! Chi lo sa. Penso sia più una coincidenza comunque, anche se fa un pò il pari con quella di Babe Ruth.

Anonimo ha detto...

E la maledizione continua.... Chelsea 2 Benfica 1... con gol vittoria al 93°...

Anonimo ha detto...

E ancora continua! FINALE UEFA LEAGUE 2014. Il 14 Maggio a Torino il Benfica perde con il Siviglia ai rigori.

Anonimo ha detto...

e la maledizione continua.
14 Maggio 2014 a Torino il Benfica perde ai rigori la finale UEFA LEAGUE con il Siviglia.