martedì 29 ottobre 2013

IL MUNDIALITO DELLA VERGOGNA

MASSIMILIANO ANCONA, GS GENNAIO 2011:
Esattamente trent’anni fa, a Montevideo andava in scena la Copa de Oro, una rassegna tra Nazionali iridate che servì come strumento di propaganda alla dittatura locale e che vide coinvolti i poteri forti della Fifa, la P2 italiana e diversi faccendieri interessati ai diritti TV. Fu poi il torneo di Victorino, autore di 3 reti, ma nessuno lo ricorda per il campo.

Un Mondiale. Piccolo e nero. Gli argentini lo chiamarono Mundialito. Un torneo dimenticato. Con poco calcio e molti calci. Nonostante le (rare) prodezze di Maradona, Rummenigge, Cerezo e Victorino (3 goal), idolo di casa. Con diritti umani calpestati e diritti TV comprati da un tycoon che sarà presidente del Consiglio. All’ombra di una dittatura fascista, legata a una loggia massonica segreta: la P2.
Tutto questo fu la Copa de Oro de Campeones Mundiales (nome ufficiale) che si svolse a Montevideo, capitale dell’Uruguay, dal 30 dicembre 1980 al 10 gennaio 1981. Giusto trent’anni fa.
La ideò Washington Cataldi, patron del Peñarol, il club uruguagio più noto, nonché assai vicino alla “junta militar” che governava il Paese. Lo finanziò un imprenditore di origine greca che viveva a Montevideo, Angelo Vulgaris. Costui, titolare di una multinazionale del bestiame, era proprietario della Strasad, la società con sede nel paradiso fiscale di Panama, che acquistò per 3 milioni di Dollari dall’Auf, la Federcalcio uruguayana, i diritti TV e pubblicitari del torneo.
Un torneo concepito per il cinquantenario dalla prima Coppa Rimet, disputatasi nel 1930 proprio sulla sponda nord del Rio de La Plata. Furono invitate le 6 nazionali che l’avevano conquistata almeno una volta. Insieme alla “Celeste”, che superò in finale il Brasile (2-1), vi parteciparono Argentina, Germania Ovest, Italia e l’Olanda (seconda a Monaco 1974 e Baires 1978) al posto dell’Inghilterra, che disse: «No, grazie». Ufficialmente per incompatibilità con il campionato nazionale. Probabilmente per protestare contro la “junta”.
Il Mundialito fu sfruttato per la propaganda dal regime di Méndez, da due mesi successore (dopo il feroce Demicheli) di Bordaberry, autore del golpe del febbraio 1973. Alla fine del 1980, Méndez affrontò anche un referendum modificativo della Costituzione (fissato per il 30 novembre) che avrebbe dovuto legittimarne il potere. E che invece si risolse in un flop. Non restò così che quel torneo, dapprima snobbato, per riconquistare il consenso interno ed internazionale.
Quello di Montevideo, del resto, non era l’unico regime militare di stampo fascista in Sudamerica. C’era (tra gli altri) quello del Cile di Pinochet, al potere con un golpe dal 1973. Fu a Santiago ed a Montevideo che i militari sperimentarono le tecniche della “desaparicion” e dei centri di detenzione clandestini per gli oppositori poi utilizzati su larga scala in Argentina: 30.000 desaparecidos, 15.000 fucilati, 10.000 torturati e 2 milioni di esuli.
Ma il calcio e le sue istituzioni (al vertice della Fifa c’era, dal 1974, Havelange, esponente del ricco ceto che aveva consegnato anche il Brasile ai militari nel 1964) chiusero gli occhi innanzi a quel massacro organizzato, legittimando la dittatura di Videla. Come quelle di Stroessner in Paraguay. Di Banzer e Garci Meza in Bolivia. Di Baptista in un Brasile che aveva vissuto il periodo peggiore tra il 1968 ed il 1974, con Garrastazu Médici. Ed, in Perù, di Morales Bermúdez, tra gli autori della “marmelada” peruviana pro Argentina del 1978.
Calcio e potere, insomma. Vittorie e dittature. Con la Fifa di Havelange a riconoscere le une. E le altre. Sotto lo scudo del famigerato Plan Condor per l’eliminazione degli oppositori. In patria e fuori. E con il sostegno della Cia e di Kissinger, segretario di stato americano dal 1968 al 1977.
Il regime di Montevideo volle ripetere (con la Copa de Oro) il successo argentino. E ci riuscì. Nonostante qualche (timida) protesta in Olanda e in Italia, dove in 41, tra tecnici e calciatori (ma si esposero solo l’allenatore del Perugia, Castagner ed il romanista Santarini) firmarono un documento secondo cui il Mundialito fosse anche una tribuna dove si condanni la politica di repressione e fame portata avanti in questi ultimi sette anni. Soltanto un passo in più rispetto al silenzio pre Mundial 1978.
Anche in Uruguay si giocò sotto l’egida della Fifa di Havelange. E tutto fu messo in piedi per far vincere la “Celeste”. Un sorteggio l’abbinò ad Olanda ed Italia, le più deboli. Lasciando a scornarsi il Brasile, la Germania Ovest Campione d’Europa e l’Argentina iridata.
Via il 30 dicembre. Ramos e Victorino affondarono gli “Orange”, privi di Cruijff e Krol. Il 3 gennaio toccò agli azzurri di Bearzot. Senza Zoff e con Bordon titolare. Senza Rossi e Giordano, squalificati dopo lo scandalo delle scommesse che aveva provocato le retrocessioni in Serie B di Milan e Lazio. E senza Gigi Peronace, il capodelegazione (nonché inventore del Torneo anglo italiano) stroncato da un infarto il 29 dicembre 1980, a poche ore dalla partenza per Montevideo.
Il compiacente arbitraggio dello spagnolo Guruceta Muro fece il resto. L’Uruguay segnò due volte nella ripresa. Con un rigore (assai generoso) realizzato da Morales e con Victorino. Sull’ 1-0, rosso per Cabrini e Moreira, seguiti nel finale da Tardelli: «Era tutto stabilito, dal rigore al resto, per far vincere i padroni di casa», urlò Martellini dai microfoni Rai.
Italia eliminata e a casa dopo l’inutile 1-1 con l’Olanda di Peters, che replicò al debuttante Ancelotti. Uruguay in finale col Brasile, promosso per differenza reti sull’Argentina di Maradona (1-1 nello scontro diretto). Entrambe batterono la Germania Ovest di Rummenigge e Hrubesh in rimonta: 2-1 l’Argentina, 4-1 il Brasile.
Il 10 gennaio 1981 accadde il prevedibile. Primi 45’ senza goal. Con il baffuto portiere uruguagio Rodríguez e il dirimpettaio Joäo Leite spettatori non paganti in uno stracolmo Estadio Centenario. Segnò Barrios nella ripresa. Rispose Socrates su rigore. Victorino, ancora lui, firmò il 2-1.
Fu un successo dimenticato. Presto. Ovunque. Non in Italia. Per due motivi. Il primo riguarda i legami che la loggia “Propaganda 2” (P2) di Licio Gelli, al massimo del potere tra il 1978 ed il 1980, ebbe con Buenos Aires e Montevideo. Il secondo concerne l’allora tycoon Silvio Berlusconi, che poté trasmetterne le gare su Canale 5, rompendo il monopolio Rai.
Gelli, maestro venerabile della P2, ebbe la residenza nella capitale uruguaiana: in una villa (zona Carrasco) assegnatagli con decreto dal governo golpista. Possedeva inoltre decine di appartamenti, un’azienda agraria ed era azionista del Banco Finanziario Sudamericano, come ha scritto Mario Guarino (Fratello P2 1816. L’epopea piduista di Silvio Berlusconi).
Lì, a Montevideo, c’era uno degli archivi della Loggia riportati in Italia solo qualche mese più tardi. Tra gli altri, alla P2 risultarono iscritti l’ammiraglio Massera, numero due di Videla in Argentina, ed Artemio Franchi (tessera 402), vicepresidente della Fifa (dal 1974), a capo dell’Uefa (dal 1972) e, fino alla primavera del 1980, della Federcalcio. Franchi smentì di far parte della Loggia. Ma forse non fu un caso se l’Italia ospitò l’Argentina (2-2) a Roma il 26 maggio 1979 e l’Uruguay a Milano (1-0) il 15 marzo 1980. Senza dimenticare che il Commissario Tecnico azzurro Bearzot guidò il Resto del Mondo nel galà contro l’Argentina per l’anniversario del trionfo iridato.
Franchi disse sì al Mundialito in Uruguay per un gettone di 130 milioni di lire (291.000 euro attuali, indicizzati all’Istat). Fu infine sempre lui a lanciare (invano) l’idea di una Copa bis in Italia.
Quanto ai diritti TV, il regime di Montevideo, per motivi propagandistici, voleva che il torneo fosse visto in Europa. Secondo Pino Frisoli e Massimo De Luca (Sport in TV), che riportano la versione di Vulgaris, quest’ultimo li offrì per 1 milione e mezzo di dollari all’Eurovisione. Una cifra troppo alta. Seguì una controfferta di 750.000 dollari. Le trattative saltarono.
Si inserì Rete Italia della “berlusconiana” Fininvest e chiuse per 900.000 dollari. Secondo Guarino, uomini di Rete Italia andarono a Ginevra e conclusero con Vulgaris l’acquisto dei diritti TV per l’Europa per 900.000 dollari (all’epoca 1 miliardo di lire, 2 milioni e 250.000 euro attuali, sempre con la rivalutazione Istat). Per 7 partite. Ovvero 150 milioni di lire l’una. Una cifra enorme rispetto ai 20 milioni per ognuna delle 38 del Mundial argentino.
La Rai si difese: «Quando l’Eurovisione si è mossa, il comitato organizzatore aveva già venduto i diritti. Non c’è mai stata un’asta regolare tra Eurovisione e Berlusconi».
L’accordo parve tanto più oneroso perché Canale 5 non avrebbe potuto trasmettere senza il satellite, gestito da Telespazio, di cui aveva usufruito in Italia solo la Rai, oltre a Telepace per l’Angelus in America latina.
La questione si concluse con un accordo tra Berlusconi e la Rai. Quest’ultima mostrò in diretta le partite dell’Italia e la finale, in differita le altre, trasmesse live da Canale 5 (solo in Lombardia) e in differita in tutta Italia. Nella vicenda ebbero un ruolo decisivo il “Corriere della Sera” e la “Gazzetta dello Sport”. Insieme al “Giornale” (ora come allora di Berlusconi) da un lato ampliarono l’evento Mundialito, dall’altro aizzarono l’opinione pubblica contro la Rai ed il governo, colpevoli di non voler cedere l’uso del satellite a Canale 5. Negando così ai tifosi azzurri la visione del torneo.
I due quotidiani della “Rizzoli”, tra i più letti all’epoca in Italia, erano entrambi controllati dalla P2, come si scoprì a breve. Negli elenchi degli affiliati comparvero (tra gli altri) l’editore Angelo Rizzoli (fascicolo 0532) e Di Bella (t. 1887, f 655), direttore del “Corsera”. Iscritti alla P2 erano anche Orsello (f. 0060), vice presidente Rai, e Longo (f. 926), segretario del Psdi, il partito del ministro delle Poste, Di Giesi. Ancora, l’iscrizione alla P2 di due ministri (Sarti e Foschi) provocò nel giugno 1981 la caduta del governo Forlani, che aveva concesso il satellite a Canale 5.

Fu tutto solo un caso?

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