lunedì 19 settembre 2016

Giuliano GIANNICHEDDA


Spiega che a Castrocielo, provincia di Frosinone, sono tutti felici – scrive Matteo Marani, sul “Guerin Sportivo” del 19-25 luglio 2005 –. Antonio e Nicola, gli amici di sempre che per mesi gli hanno chiesto della Juve. E poi mamma Aurora, che colleziona ogni articolo dedicato a Giuliano e che dunque ritaglierà anche questo. «Mi hanno detto che sono il primo ciociaro che gioca nella Juve» commenta Giannichedda, «e mi fa piacere perché la mia terra è bellissima e ha una grande qualità di vita. Ogni estate partecipo agli eventi che servono a promozionarla e a far conoscere i suoi prodotti».
Liberi di pizzicarvi se pensate che state sognando. Il primo acquisto della Juve 2005-06 interessa ricordare la sua Ciociaria mentre migliaia di tifosi gli chiedono autografi, le tv lo riprendono, l’universo bianconero gli si schiude davanti nella sua vastità. Altri, al suo posto, sbandiererebbero pure il fidanzamento con Federica Ridolfi, la stupenda schedina di Quelli che il calcio... Lui no: «Non voglio confondere pubblico e privato, dico solo che mi sento una persona bilanciata e in questo conta un quadro sentimentale appagante». Stop. Semmai un rapido pensiero va al fratello Gianluca: «Prometteva come calciatore, ma ha deciso di prendere la strada dei libri e oggi è avvocato. E curioso: quando avrò finito la mia carriera, tra quattro o cinque anni, lui sarà all’inizio della sua».
Da ragazzino, quando il cuore gli batteva non per Federica ma per il Milan, lo chiamavano il Mastino, perché in campo non mollava l’osso. Ma al di fuori Giannichedda assomiglia al classico figlio che sognerebbe qualunque madre italiana. Educato, discreto, disponibile. «Ripeto, tra qualche anno avrò chiuso la carriera di giocatore, tanto vale rimanere con i piedi per terra».
– Ti preoccupa passare da Roma a Torino, dal clima mite alle nebbie invernali?
«Ho vissuto sei anni a Udine, città stupenda, persone eccezionali. Il nord mi piace perché esiste un grande rispetto degli altri, specie di chi lavora. Si sgobba in silenzio».
– Pare il tuo identikit.
«Sono un tipo che scende in campo per vincere. È vero. La tenacia è l’80% del giocatore che sono. E mi fa piacere chela Juve abbia visto questo in me».
– Come fai a saperlo?
«La Juve guarda l’uomo prima del calciatore, a meno che non si tratti di un fuoriclasse e non è il mio caso. Il fatto che mi abbiano preso è motivo di orgoglio. Sarà noioso, ma voglio essere considerato come persona».
– Giuliano, che cosa vuol dire davvero giocare nella Juve?
«E una domanda centrata, perché adesso capisco davvero come mai qui abbiano vinto tanto, tutto. Nasce dalla cultura del lavoro».
– Lo si ripete spesso.
«Ma non è solamente un modo di dire, è proprio vero. Tutti quanti, a cominciare dai campioni, si comportano in una certa maniera. Per i nuovi esiste subito un modello da seguire. E c’è una grande organizzazione».
– Anche questa si è sentita.
«Ti faccio un esempio concreto. Nella prima partita con il Voghera, mi sono insaccato il pollice. In due ore è stato pianificato tutto: la decisione di fare le lastre, l’appuntamento in ospedale, l’autista pronto a portarmi. Hai capito?».
– La diversità sta anche nel lavoro svolto in ritiro?
«Rispetto all’ultimo anno con la Lazio sto faticando di più, anche perché la scorsa estate eravamo in una situazione transitoria, un po’ caotica. Con Neri (preparatore atletico della Juve, ndr) mi sto trovando bene, mi stanco e va bene così. Qua è una preparazione più dura perché ci sono subito molte partite».
– Parliamo di Capello?
«Ci siamo presentati al raduno e mi ha fatto l’in bocca al lupo per la stagione».
– Andiamo più a fondo.
«Mi ha colpito la sua professionalità. In quelle due ore di allenamento richiede una concentrazione assoluta».
– Un sergente di ferro?
«Non proprio, una volta concluso il lavoro è uno tranquillo, che lascia in pace i giocatori. Anche le regole non sono diverse da altri posti: innanzitutto il rispetto da dare e da ricevere».
– Vale anche per le stelle come Del Piero?
«Mi ha impressionato la serietà che mette in allenamento. Vedendolo capisci che dovrai lavorare ancora di più, dato che non hai certi numeri. Mi ha colpito pure Nedved, gli ho anche chiesto di farmi vedere il Pallone d’oro. Quando rientriamo a Torino mi invita a casa sua».
– Altri appunti di viaggio?
«Prendi Buffon, il migliore portiere al mondo. O prendi tutti i nazionali che ci sono. Insomma, si è avverato un sogno».
– L’avevi già detto il 13 giugno al Corriere dello sport: «La Juve è il sogno che si realizza».
«L’importante è viverlo nel modo giusto, con tranquillità, ma anche con la consapevolezza di essere in una realtà che punta a vincere ogni cosa».
– Hai fatto un conto di quante partite giocherai?
«Ho calcolato che se arriviamo in fondo a tutto saranno circa 70 match, dunque ci sarà spazio. Venendo qua, rinunciando alla Lazio, sapevo di dovermela giocare nuovamente».
– Una salita con pochi “regali”. Hai cominciato con Pontecorvo e Sora.
«Sono abituato a tentare, tentare sempre. Me l’ha insegnato Zaccheroni. Mi diceva: “Se ci credi potrai fare carriera”. Aveva ragione».
– Hai lasciato la fascia di capitano della Lazio, non poco.
«Non c’erano i presupposti per proseguire. Un nuovo ciclo richiede 4 o 5 stagioni e a 31 anni non potevo più aspettare. Avevo un’occasione ottima. Anche se resta il dispiacere di lasciare una città meravigliosa dopo quattro anni bellissimi».
– Lotito è stato meno soft.
«Ha detto delle cose in pubblico diverse da quelle dette a me in privato il giorno prima. Ma non voglio fare polemica».
– L’Olimpico come ti accoglierà?
«Spero bene, perché i tifosi mi hanno capito».
– Ci pensi alla Nazionale?
«Sinora ci sono stato soltanto con Zoff, ma giocare nella Juve offre una vetrina diversa, sotto tutti gli aspetti. L’occasione è buona ed è quel qualcosa in più che mi ha convinto ad accettare il trasferimento. Partecipare a un Mondiale è il sogno di ogni calciatore».
– Se fai bene qui...
«D’accordo, ma la concorrenza è elevata: ci metto Gattuso, il più bravo di tutti a fare pressing. E con lui Blasi, De Rossi, senza dimenticare gli altri».
– Nella Juve rischi di rimanere chiuso da Vieira. Sei spaventato?
«Il francese è un campione, è uno che dà un valore aggiunto alla squadra e che oltretutto gioca esattamente nel mio ruolo. Ma io farò la mia parte».
– Vieira-Juve, Gilardino-Milan, Pizarro-Inter: chi può fare il colpo dell’estate?
«Vieira ha fatto vedere cose eccellenti in Inghilterra».
– La Juve è la squadra da battere?
«È una rosa competitiva, che per di più è al secondo anno di Capello. Voglio dire che si conoscono meglio e che possono correggere certi errori. A questo si aggiungono Vieira, Mutu, che può essere la sorpresa dell’anno, e il sottoscritto».
– Qual è l’avversaria da battere?
«Il Milan ha qualcosa in più dell’Inter».
– Da quanto tempo manchi dalla Champions?
«Da due anni ed è un altro motivo, assieme alla Nazionale, per venire alla Juve. Sentire la musica della manifestazione in mezzo al campo ti fa salire l’adrenalina».
– Capello ha fatto capire di preferire il successo in Europa al campionato.
«Non ho vinto né l’uno né l’altro. Non è una domanda da fare a me». 

Cresce nel Sora, paese vicino a casa, riuscendo a disputare due campionati in Serie C2 e uno in Serie C1. Nell’estate del 1995 approda all’Udinese e comincia ad assaporare il profumo di Serie A; la prima stagione totalizza solamente 8 presenze ma, ben presto, diventa una colonna del centrocampo friulano. Il cognome particolare è spesso causa di confusione; sono tante, infatti, le occasioni in cui è battezzato Gianni Chedda. Dopo sei stagioni nell’Udinese, è ceduto alla Lazio. Giocatore molto grintoso, dotato di una buona tecnica, si rivela spesso molto irruente e non sono pochi i cartellini gialli che rimedia nella sua carriera. Nella Capitale resta per quattro stagioni, tutte giocate da titolare; nell’estate del 2005 è ceduto alla Juventus.
In riva al Po, com’è prevedibile, non ha vita facile, trovandosi la strada sbarrata da due fuoriclasse come Emerson e Vieira; nonostante questo, riesce a totalizzare 24 presenze, vincendo la concorrenza di prima riserva di centrocampo con Blasi.
La stagione successiva la Juventus la disputa in Serie B e Gianni decide di rimanere. Non è un campionato fortunato: Giuliano è spesso vittima di problemi fisici e non riesce a esprimersi secondo le proprie possibilità. L’esplosione di Marchisio e i problemi difensivi che lo portano a essere schierato al centro della difesa, non consentono a Giuliano di contribuire in modo decisivo alla promozione della squadra bianconera. Proprio per un problema fisico, Giannichedda non riesce a scendere in campo alle due partite contro il Frosinone, sia in quella disputata a Torino, sia in quella giocata nella sua Ciociaria.
Nell’estate del 2007 decide, insieme alla società bianconera, di rescindere il contratto che lo lega alla Vecchia Signora.

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