mercoledì 26 agosto 2020

Gianluca LUPPI


Un bolognese atipico, come tutti (o quasi) – scrive Adalberto Scemma su “Hurrà Juventus” del maggio 1991 – quelli che l’anagrafe ha fatto nascere a Crevalcore. Gianluca Luppi è riservato, riflessivo, attento a non giocare troppo con le parole. Un freddo? Lui dice di no. Piuttosto un concreto, dietro l’apparente velo della timidezza. Ricorda in questo Gigi Simoni, pure lui di Crevalcore, persona di stile, educato, tranquillo e tuttavia maledettamente determinato, capace di centrare per cinque volte l’obiettivo-promozione con Brescia, Genoa e Pisa.
«Di promozioni» dice Gianluca «ne ho centrata una pure io, importantissima, quella che ha cambiato il torso della mia carriera. Salendo in Serie A con il Bologna ho realizzato un sogno, però non mi sono fermato a... contemplarlo. Ho preso a inseguirne di nuovi. Se sono arrivato alla Juve il merito è anche del mio carattere. Non mi accontento mai, cerco sempre gli stimoli giusti. E gli stimoli, qui alla Juve, non mi mancano di certo».
Non mancano, però, neppure le distrazioni. A Torino un giocatore della Juve è sempre in vetrina. Bologna sotto questo aspetto è più protettiva, più «casareccia»... «Tutto vero, ma non per un calciatore come me. Intanto a Bologna gira più gente di sera, mentre Torino è quasi deserta. La mondanità? Se devo misurarla dagli inviti che ricevo, è chiaro che lo spazio per le distrazioni esiste, ma resta il fatto che svolgo un lavoro tutto particolare, che richiede tranquillità e concentrazione. Ne tengo conto in ogni momento».
E come ti regoli? «Esattamente come mi regolavo a Bologna. Sono casalingo, un tranquillo, uno che non vuole rogne. È per questo che non trovo differenze sostanziali tra la mia vita di prima e quella di oggi. L’unica differenza è quella che risulta all’anagrafe, nel senso che da quando ho messo su famiglia sono aumentate le responsabilità».
Fino a che punto ti pesano? «Ho conosciuto mia moglie Elena sui banchi di scuola: il nostro è un rapporto consolidato, forte, molto bello. E poi adesso c’è anche Petra, che ha pochi mesi ma richiede già un sacco di attenzione. È chiaro che tutto il mio tempo libero lo passo in casa. Gioco con la bambina, faccio compagnia a mia moglie, mi realizzo attraverso poche importantissime cose...».
Come marito e come padre sei al top. E come calciatore? «Spero di salire ancora, è ovvio. O comunque di attestarmi su un rendimento elevato. Sono ambizioso, non lo nascondo, e cerco di sfruttare al meglio le occasioni. A Torino ho avuto la fortuna di imbattermi subito in diverse circostanze favorevoli: l’ho interpretato come un segnale positivo».
Quali circostanze? «Il fatto di conoscere anche nei dettagli i sistemi di Maifredi, per esempio. Non ho avuto problemi di ambientamento, mi sono sentito subito a mio agio».
Parliamo di questi sistemi, allora... «Maifredi è diverso dagli altri allenatori che ho avuto occasione di conoscere. Ha idee personalissime che possono anche essere discusse, ma che a gioco lungo si rivelano molto più concrete di quanto non si immagini».
Idee buone in assoluto? «Certamente. Dovessi raccontare Maifredi in sintesi, direi che come allenatore è molto bravo e come uomo è addirittura eccezionale».
Un po’ istrione, dicono... «È uno che tende a sdrammatizzare molto le cose. Pretende da noi la massima concentrazione il giorno della partita, anche perché con il gioco a zona non è proprio possibile scendere in campo con la testa da un’altra parte, ma durante la settimana ride e scherza con tutti. È difficile non andare d’accordo con un tipo così».
Maifredi a Bologna, Maifredi a Torino: in qualcosa sarà pure cambiato. «Direi proprio di no. E se è cambiato non lo dà a vedere. Con il calcio ha un rapporto... amichevole, non conflittuale. E si regola di conseguenza».
E tu, con il calcio, che tipo di rapporto hai? «Sono un professionista che ha la fortuna di lavorare divertendosi. I sacrifici non mi pesano: non li considero tali. E comunque mi considero un privilegiato, visto che da ragazzo facevo un tifo d’inferno per la Juve e che adesso mi ritrovo con la maglia bianconera sulle spalle».
La Juve ti aspettava da un anno, stando alle voci sulla campagna acquisti. «Ero stato richiesto anche alla fine della precedente stagione, è vero, ma avevo il Bologna nel cuore e non potevo rinunciare all’idea di affrontare la Serie A con i miei compagni. Eravamo un gruppo molto affiatato».
Poi la Signora è tornata a bussare. «E stavolta non mi è passato neanche per la mente di rinunciare. C’erano altri presupposti: Maifredi e il mio amico De Marchi, per esempio. E non solo loro».
E Marocchi che ha giocato con te fin dalle giovanili del Bologna... «Se è per questo noi “bolognesi” formiamo ormai una colonia. Maifredi, Marocchi, De Marchi, il sottoscritto, e poi Sorrentino e persino Governato. Ci metto anche Alessio, che ha giocato un anno in prestito a Bologna e che ha subito legato con tutti. Personalmente, poi, sono stato contentissimo di avere ritrovato Baggio. Abbiamo giocato assieme in maglia azzurra, nelle Giovanili under 15 e under 16. Tutto si può dire, del mio passaggio alla Juve, meno che si sia trattato di un viaggio verso l’ignoto».
L’incognita riguarda invece il ruolo. Da marcatore esterno sei diventato centrale. «Neppure questa è una novità. All’inizio della carriera ho giocato spesso da libero. Quando Julio Cesar avanza mi trovo a coprire la zona scalando le marcature. È una situazione tattica che mi piace e che trovo congeniale alle mie caratteristiche, visto che non mi considero uno specialista: preferisco cambiare, anche per evitare di assuefarmi a un compito troppo specifico».
A quale modello di calciatore ti ispiri? «Da ragazzo ero juventino e le mie scelte non sono state quindi casuali. Ho cominciato a fare il tifo per Tardelli: il mio sogno era quello di galoppare a centrocampo. Poi mi sono trovato ad apprezzare Scirea sino a farne una specie di idolo. Giocavo da libero e il mio punto di riferimento non poteva che essere Gaetano. Come terzino ho cominciato a giocare a Bologna: mi ci sono adattato, ma non nascondo che al centro della difesa mi diverto di più».
E gli altri divertimenti, quelli extracalcistici? «Sono un tipo molto tranquillo, l’ho detto. Mi accontento di qualche buon film in videocassetta. Ne ho una bella collezione, ma anche in questo caso non ho gusti particolari: sono un eclettico, spazio dai film polizieschi a quelli comici senza crearmi troppi problemi. A scegliere è spesso mia moglie ma i nostri gusti si incontrano. Tra l’altro Elena si considera una predestinata. All’anagrafe risulta torinese, anche se a Torino ha vissuto soltanto i primi quattro giorni della sua vita prima di trasferirsi a Bologna».
Anche per lei ambientamento facile, dunque... «Nessun problema, credo. Torino è una citta dove la gente vive e lascia vivere. Personalmente ho provato una certa emozione, e non lo nascondo, quando sono stato presentato ad Agnelli e a Montezemolo: li avevo sempre considerati personaggi mitici, inavvicinabili. Poi mi sono abituato. Tutti e due sono molto attaccati alla Juve, non perdono occasione per farci sentire che siamo seguiti con simpatia. È una sensazione rassicurante».
Quali altre sicurezze ti ha dato la Juventus? «La Juve offre stimoli, non sicurezze. All’inizio ho avuto qualche problema perché andavo spesso in tribuna, poi il vento ha cominciato a soffiarmi alle spalle. Del resto siamo in diciotto, è una rosa molto qualificata, trovare spazio non è sempre facile».
De Marchi ha dovuto affrontare gli stessi problemi. «Siamo come fratelli, abbiamo vite calcistiche in parallelo. È divertente il fatto che spesso la gente fa confusione: io vengo preso per De Marchi e viceversa, e qualche volta sbagliano persino i giornali quando pubblicano le nostre fotografie. Marco? È un ragazzo molto sensibile, un vero amico. Divido nei ritiri la stanza con lui a differenza di ciò che accadeva nel Bologna, quando facevo coppia con Stringara. Ma nella Juve capita spesso, dato l’ambiente amichevole che si è creato, di non trovarsi in un giro fisso. Esco anche con Corini, Di Canio e Baggio, giovani come me, mentre a carte Schillaci e Napoli sono i miei compagni preferiti».
Chi vince? «Dipende. Per quanto mi riguarda so soltanto che... perdo sempre meno. Sono uno che non ama la fretta, uno che guarda lontano. E meno si perde...».

VLADIMIRO CAMINITI, DA “HURRÀ JUVENTUS” DEL MAGGIO 1991
Gli estremi non si toccano, qualche volta si fanno reciproci omaggi e la gloria sembra riservata sempre ai soliti. I Media raccontano solo il fuoriclasse, e ignorano il calciatore schivo, il calciatore devoto, il difensore con la grinta e il cuore di un Gianluca Luppi. Gianluca Luppi ha disegnato un campionato di grossa utilità tattica e di grande risalto agonistico. Silenzioso, di poche parole, egli si riserva ai fatti. In realtà, Luppi, voluto da Maifredi, gli sta dando abbondantemente ragione, ed io l’ho visto giocare bene anche nelle giornate più avventurate dello squadrone bianconero. Alla Juventus, si dice terzino destro, si pensa involontariamente ai più straordinari prototipi. Cominciò il maestrino Rosetta, come difensore, e poi ci fu Foni; nel dopoguerra, ecco Manente, ed ecco Garzena, Burgnich, Sarti, Gori, Gentile; e si capisce che la compagnia è troppo importante, per un ragazzo del ‘66 che arriva da Crevalcore. Nessuna paura. Altri ce l’hanno. Altri non riescono a farsi luce, nonostante buone qualità di fondo; Gianluca fin dall’inizio della stagione s’è gettato nella mischia, ha profuso tutto il suo cuore, ha cercato di essere all’altezza della fiducia del suo maestro, e si può scrivere che è tra le note liete di una squadra forse incompiuta, certamente bellissima.
Sul piano tecnico, arieggia un difensore come Claudio Gentile, e nessuno si meravigli. «Gento» aveva un tono più aspro, ma Luppi non gli è molto lontano. Gentile ventiquattrenne aveva qualità similari.
Luppi è meno molosso del tripolino, ma ugualmente applicato. È altrettanto veloce e rabbioso nel recupero. La difesa juventina aveva bisogno di un giocatore con le sue caratteristiche. Sa trasformare immediatamente l’interdizione in tocco d’appoggio; è un terzino costruttivo, è un uomo disponibile al dialogo e dal fertile slancio. Il futuro dirà se il mio giudizio è obiettivo. Credo proprio di non sbagliarmi, pronosticando per Gianluca Luppi un lussuoso avvenire juventino.
E voglio dire che Gianluca Luppi è stato un ottimo investimento, e lo si potrà valutare nel prossimo futuro, lo vedremo crescere insieme alla Juventus, lo vedremo proporsi e inserire il suo stacco, il suo decisionismo, in una squadra bianconera sempre più forte e perentoria. Infatti, questo ragazzo di Crevalcore esprime nel carattere e traduce nel gioco tutte le istanze volute da Maifredi. È un pugnace, un combattivo. È un difensore di ostruzione, che sa correre e sgroppare al servizio degli schemi. Guardatelo in viso: esprime la determinazione massima. Bruno, di guancia scavata, quei suoi occhi neri lampeggianti, lo muove l’ambizione del successo, in campo si prodiga senza egoismo, con un animo netto come il filo di una spada.

Insomma, ci sono tutti i presupposti perché il campionato di Gianluca e della Juventus sia trionfale, come sperano i tifosi bianconeri. Tutti sanno, invece, come andrà a finire. Il calcio champagne di Maifredi fallisce miseramente e la Juventus, dopo ben 25 anni, non riesce a qualificarsi per le Coppe Europee.
La triade Montezemolo, Maifredi e Governato è cacciata e si ritorna all’antico: Boniperti e Trapattoni, Trapattoni e Boniperti. Questa volta, però, non saranno rose e fiori, non saranno successi a ripetizione e la Vecchia Signora dovrà aspettare ancora del tempo prima di ritrovare l’antico splendore.
E Luppi? Disputa da titolare, com’era prevedibile, il primo campionato, nel quale somma 34 presenze; l’anno successivo è più misero di soddisfazioni. Arriva il Trap e con lui un bel gruppo di difensori: Carrera, Kohler, Julio Cesar, Reuter. Chiaro che per Gianluca gli spazi si restringono notevolmente; il nostro, infatti, totalizzerà solamente 22 presenze e, a fine stagione, sarà ceduto alla Fiorentina.

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