venerdì 5 ottobre 2012

OPERAZIONE LAMPO

ALEC CORDOLCINI, “GS” GIUGNO 2011:
Uno schianto in auto, in apparenza del tutto casuale. In realtà dietro la morte di Eigendorf (famoso centrocampista della Dynamo di Berlino fuggito all’ovest) si nascondeva la Stasi.

La sera del 5 marzo 1983 Lutz Eigendorf, stella un po’ appannata dell’Eintracht Braunschweig, lascia il ristorante Cockipt, sale in macchina e si avvia verso casa lungo la Braunschweiger Forststraße. In prossimità di una curva a gomito, la sua Alfa Romeo sbanda, Eigendorf perde il controllo del veicolo e si schianta contro un albero sul lato opposto della strada. Sono le 23:08.
Un impatto è violentissimo. Dalle lamiere viene estratto il corpo del giocatore privo di conoscenza. Gli viene rilevato un tasso alcolico nel sangue pari a 0.22. Un livello altissimo, equivalente a tre litri e mezzo di birra. Lutz Eigendorf muore due giorni dopo in ospedale a causa delle gravi lesioni riportate alla testa. Ha ventisei anni. La polizia locale non ha dubbi: incidente causato da guida in stato di ebbrezza. Caso chiuso.
Per la stampa, Eigendorf è il Beckenbauer della Germania Est. Un centrocampista difensivo di grande eleganza, ottimo nella lettura delle situazioni di gioco ed altrettanto abile nel far ripartire l’azione con lanci millimetrici.
Fin dalla tenera età, il giocatore viene considerato uno dei fiori all’occhiello del calcio della Ddr. Entra nei ranghi della Dynamo Berlino a quattordici anni, debutta in prima squadra a diciotto, veste per la prima volta la maglia della Nazionale a ventidue, presentandosi con una doppietta alla Bulgaria.
La Dynamo Berlino è la squadra del capo della Stasi (il Ministero per la Sicurezza di Stato) Erich Mielke. Sul finire degli anni Settanta, nella Oberliga tutte le strade portano a Berlino. Per la squadra della capitale ci sono i migliori giocatori e gli arbitri più compiacenti. I dieci titoli nazionali consecutivi messi in bacheca dalla Dynamo trasformano il tutto in una farsa, dalla quale però Eigendorf si premura di fuggire immediatamente.
Il 20 marzo 1979 la Dynamo Berlino è attesa in Germania Ovest per un’amichevole contro il Kaiserslautern. Per il club si tratta della prima trasferta in un paese non appartenente all’area sovietica. Ai giocatori è proibito qualsiasi contatto con l’esterno. L’incontro termina 4-1 per i tedeschi dell’ovest.
Nella notte Eigendorf scende per un drink nella hall dell’Hotel Savoy, dove era alloggiata la squadra. L’unica persona che incontra è l’accompagnatore degli arbitri. La loro chiacchierata dura più di tre ore, e quando Eigendorf decide di rientrare il camera, l’uomo gli allunga il proprio biglietto da visita. La mattina seguente il bus della squadra riparte per Berlino. Viene fatta una tappa a Giessen per permettere ai giocatori di spendere la valuta straniera accumulata, magari acquistando un paio di Wrangler od un cd dei Rolling Stones. Eigendorf si allontana con un paio di compagni, quindi sale su un taxi, si sdraia sul retro e porge al conducente il biglietto da visita dell’accompagnatore degli arbitri incontrato la sera prima.
È l’unica persona che conosce in tutta la Germania Ovest. Eigendorf non è il primo giocatore della Ddr a fuggire a ovest. Nel suo caso però lo smacco per il regime, e specialmente per Mielke, è ancora più grande. Lui, uno dei più fulgidi talenti della Germania Est, è riuscito a scappare mentre si trovava in trasferta con la squadra del capo della Stasi.
«Eigendorf non giocherà mai in Bundesliga», dichiara un Mielke schiumante di rabbia una volta appresa la notizia.
Nel giro di pochi giorni vengono predisposte l’Operazione Rosa e l’Operazione Traditore. La prima riguarda la moglie di Eigendorf, Gabriele, pedinata e spiata 24 ore al giorno per timore di una possibile fuga. La seconda si concentra invece sui genitori del calciatore. Vengono interrogati amici, vicini, colleghi, persino il medico di famiglia. I telefoni sono sotto controllo, tutta la corrispondenza viene aperta e letta dagli uomini della Stasi prima di essere consegnata. Sembra 1984 di George Orwell, con la differenza che la Ddr non è fiction.
In Bundesliga, Eigendorf non riesce ad avere l’impatto che le sue qualità facevano supporre, anche a causa di numerosi problemi fisici. Dopo aver scontato una squalifica di un anno comminatagli dalla Fifa per non aver rispettato il proprio contratto con la Dynamo Berlino, Eigendorf gioca due stagioni con il Kaiserlsautern prima di passare, per 400.000 marchi, all’Eintracht Braunschweig.
Non rifiuta mai un’intervista e non ha paura a dire ciò che pensa della Germania Est. Altri fuggitivi, tra cui l’allenatore Jórg Berger, gli consigliano di mantenere un profilo più basso, perché Mielke è un uomo molto pericoloso. Eigendorf per contro il 21 febbraio 1983 si fa riprendere di fronte al Muro di Berlino nel corso del programma Kontraste mandato in onda dall’emittente Ard. Due settimane dopo, ecco l’incidente fatale.
La caduta del Muro e la riunificazione della Germania, con conseguente accesso agli archivi della Stasi, riaprono il caso Eigendorf. Della vicenda si occupa il giornalista d’inchiesta Heribert Schwan attraverso un certosino lavoro di assemblaggio di centinaia di documenti. Nello sterminato archivio dello Stasi, che in quarant’anni di vita aveva prodotto l’equivalente di tutti i documenti della storia tedesca a partire dal Medioevo, non esiste un dossier Eigendorf.
«Ma sarebbe meglio dire», afferma Schwan, «non esiste più, perché è stato distrutto. Tuttavia il nome di questo sfortunato giocatore è presente in numerosi documenti collaterali, se così vogliamo chiamarli».
In Germania Ovest, Eigendorf è stato spiato da una cinquantina di agenti segreti della Stasi. Uno di questi, l’ex pugile Karl-Heinz Felgner, era uno dei suoi migliori amici a Braunschweig. I suoi rapporti sono dettagliatissimi: amicizie, telefonate, locali frequentati, spostamenti, numeri di caffè bevuti quotidianamente, marca di latte preferita.
Nel frattempo, in Germania Est Gabriele Eigendorf aveva chiesto, ed ottenuto, il divorzio dopo soli tre mesi dal la fuga del consorte, per poi sposarsi con l’amico d’infanzia Peter Homman. L’uomo in realtà era un agente della Stasi, nome in codice Lothario, in missione allo scopo di far breccia nel cuore di Gabriele per indurla a tagliare definitivamente i ponti con il “traditore”. La coppia regalerà un fratellino a Sandy, la figlia di Lutz e Gabriele.
In un documento di 32 pagine dedicato alla sezione XII, un commando segreto interno alla Stasi che agiva da autentico squadrone della morte, compare il nome di Eigendorf in una lista contenente alcuni nemici pubblici del regime. Accanto a esso c’è una scritta: “narcotico”. Poco sotto viene citato il sistema “Lampo”, una tecnica sovente utilizzata dalla Stasi per eliminare persone scomode senza lasciare traccia.
Il sistema “Lampo” consiste nel posizionare un’auto ai bordi della strada, nascondendola nel buio in prossimità di un una curva pericolosa, e quindi di accendere improvvisamente gli abbaglianti una volta sopraggiunta l’auto bersaglio, nel tentativo di accecare il conducente. Schwan è pertanto giunto alla conclusione che Lutz Eigendorf sia stato prima drogato con una neurotossina, quindi minacciato, fatto fuggire in auto e infine abbagliato sulla Braunschweiger Forststraße.
In tempi recenti è stata chiesta la riesumazione del corpo per trovare eventuali tracce di avvelenamento. Una procedura complicata e soprattutto lenta. Ma l’omicidio, come ricordato dal pubblico ministero di Berlino, è un reato non soggetto a prescrizione.



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