martedì 27 giugno 2017

FELIPE MELO


ENRICA TARCHI, “HURRÀ JUVENTUS” DELL’AGOSTO 2009
NemiciAmici. La prima volta che Felipe Melo e Diego si incontrano è in un confronto al vertice che vale il titolo brasiliano. Ha la meglio il Flamengo, che batte il Santos di Diego grazie a un proprio a un gol di Felipe Melo, che pure attaccante non è, ma che da centrocampista di gol ne realizza parecchi. Ora le strade di Felipe Melo e Diego si incrociano di nuovo, ma i sogni e gli obiettivi sono comuni. A unirli, poi, c’è la passione del popolo bianconero che li ha travolti, in un’estate carica di aspettative e di voglia di vincere.
Mentre gli aficionados del ritiro di Pinzolo impazzivano per il trequartista, una folata di vento fresco smuoveva la calda estate torinese: ecco Felipe Melo, trionfatore della Confederations Cup, il “colpo” che completa il mercato bianconero. Il suo arrivo alla Juventus è accompagnato dalle anticipazioni dei giornali, che danno la cosa per fatta da qualche giorno. Ma i tifosi che vogliono la voce ufficiale della società si collegano al sito e non trovano ancora conferme. «Sarà vero? – si chiedono – Sarà il classico rumor di mezza estate o arriva davvero il numero 5 del Brasile?». La società segue la solita, obbligata, trafila: come Borsa comanda, non si dice nulla fino a quando l’accordo non è nero su bianco. Quello con il giocatore e quello con la Fiorentina. Non si fanno parole neanche sulle visite mediche, che non sfuggono invece ai media. Sono quattro o cinque i cronisti che il 14 luglio, giorno del suo arrivo a Torino, si presentano alla Clinica Fornaca alle 8 del mattino. Melo non ce la fa a tenere per sé la propria soddisfazione e li accoglie con un sorriso: «Sono contento di essere qui – dice – bisogna lavorare, lavorare, siamo una grande squadra».
Un’ora dopo i giornalisti sono quasi una trentina davanti all’Istituto di Medicina dello Sport. L’inseguimento continua all’Hotel Principi di Piemonte, dove Felipe Melo recupera la moglie Roberta per recarsi in sede a incontrare il direttore sportivo Alessio Secco. Nel frattempo, Felipe, accompagnato dal padre Jorge, non aveva resistito alla tentazione di calpestare il terreno dell’Olimpico, che presto sarà il “suo” campo. È qui incontra Juventus Channel per la prima volta. Poche parole ma autentiche: «Sono contento che anche mio padre sia con me oggi, perché è grazie a lui e a mia madre, che ora è in Brasile a prendersi cura dei miei tre figli, che sono arrivato fin qui. Non dimenticherò mai i sacrifici che hanno fatto per permettermi di continuare a giocare e ora voglio condividere con loro ogni momento delle gioie che sto vivendo».
Questo e altro ha raccontato ai microfoni della tv bianconera, che ha poi trasmesso il servizio ad annuncio ufficiale avvenuto, il giorno successivo. Dopo la firma, ecco finalmente l’incontro con Hurrà Juventus. Una conversazione che ha messo in evidenza la voglia e la determinazione di un giocatore che sa di avere l’occasione giusta nel momento giusto.
– Felipe, partiamo dal Brasile, che hai lasciato dopo aver vinto con il Flamengo e aver giocato nel Cruzeiro e nel Gremio. Perché la scelta, comune a molti tuoi connazionali, di venire in Europa?
«Perché dopo aver giocato in grandi squadre del mio Paese ho sentito la voglia di fare un’esperienza nuova e l’Europa per tutti noi brasiliani è un salto di qualità. Meglio se la raggiungi, come me, avendo prima vinto qualcosa di importante».
– La Spagna dunque, in primis il Maiorca.
«È stata l’occasione per adattarmi a un nuovo calcio e l’ho fatto anche grazie a una vostra vecchia conoscenza, Mark Iuliano, con il quale spesso ho parlato dell’Italia».
– A quell’epoca eri giovanissimo.
«Avevo solo vent’anni, ma devo dire che mi sono subito adattato bene, anche perché ritengo che il calcio spagnolo assomigli per certi aspetti a quello brasiliano».
– Tu sei nato centrocampista, ma hai avuto esperienze anche in altri ruoli, com’è successo?
«Premetto che nel Maiorca di Cuper giocavo nel mio ruolo, come facevo nelle varie Under giovanili del mio paese. Poi sono passato al Racing Santander e lì ho vissuto qualche difficoltà. Il mio allenatore Miguel Portugal diceva che non avevo le qualità per giocare a centrocampo e mi spostava in tutti i ruoli, da terzino ad attaccante».
– Non è stato un momento facile.
«Direi di no, però ho avuto il sostegno della mia famiglia e di mia moglie, che mi ha seguito ovunque, e l’ho superato».
– Però con Racing ti sei tolto la grande soddisfazione di battere il Real Madrid al Bernabeu segnando anche un gol.
«È stato molto bello, non avevo ancora segnato in quella stagione. Mi sono trovato davanti una squadra piena di stelle, da Zidane a Ronaldo. Ho realizzato il gol-partita davanti a 90 mila spettatori, immaginate la gioia. Era l’ultima partita prima della sosta natalizia, quindi ho raggiunto la mia famiglia in Brasile per festeggiare».
– Parlando del tuo rapporto con l’allora allenatore, com’è andata a finire?
«Le nostre strade si sono divise, lui è andato a fare il dirigente al Real Madrid, io a giocare ad Almeria, dove da subito mi hanno messo a centrocampo: alla fine della stagione sono risultato, assieme a Xavi del Barcellona, il miglior centrocampista della Liga. Portugal comunque mi chiamò chiedendomi scusa...».
– Alla Juve hai scelto il numero 4 che portavi proprio quando giocavi ad Almeria.
«È un numero che mi ha portato fortuna, infatti quell’anno ho segnato 7 gol giocando a centrocampo».
– Siamo all’estate 2008, quando arriva la chiamata italiana.
«Ho accettato volentieri di venire nel vostro campionato, anche perché la Fiorentina fin da subito aveva dimostrato di credere in me e di volermi fortemente. Come ho detto ringrazio ancora tutto l’ambiente per come sono stato accolto e trattato nel corso della scorsa stagione».
– Un’annata che ha visto anche il tuo esordio in Nazionale.
«A febbraio, a Wembley, proprio contro l’Italia (2-0 per il Brasile). Da quel momento sono stato sempre convocato da Dunga, dieci partite e mai una sostituzione. Ho fatto anche due gol, e quest’estate ho vissuto la soddisfazione di vincere la Confederations Cup».
– Durante la quale hai avuto modo di parlare con qualche bianconero?
«Sì, con Gigi Buffon. Gli altri nuovi compagni invece li conoscevo solo di fama, a parte Diego e Amauri. Con quest’ultimo avevo avuto modo di scambiare qualche parola in merito alla sua scelta relativa alla Nazionale durante la partita tra Fiorentina e Juventus».
– In Brasile, quando ti dicevano Juve, a cosa pensavi?
«A una delle squadre con la più grande tradizione al mondo, a Del Piero, Trezeguet, Buffon e Roberto Baggio. Non so se è stato anche per quel famoso rigore sbagliato ai Mondiali, ma tra i campioni bianconeri di sempre lui è uno che viene nominato e ricordato spesso».
– Baggio, un giocatore che ha fatto il tuo stesso passaggio, Fiorentina-Juventus, ma forse in modo più turbolento.
«Come ho detto appena arrivato, i tifosi viola capiranno, il mio passaggio alla Juventus è un bene per tutti».
– Come ti sei trovato nel calcio italiano durante la tua stagione passata alla Fiorentina?
«Molto bene, è un calcio fisico, di forza, e questo mi piace».
– Il popolo bianconero è impazzito alla notizia del tuo arrivo in bianconero. Da quando hai cominciato ad avvertire di essere un giocatore “famoso”?
«Diciamo che il salto di qualità è iniziato ad Almeria, poi sicuramente a Firenze, perché ho fatto una stagione importante. In viola sono arrivato come un giocatore importante e i fiorentini mi hanno trasformato in idolo».
– Ora in Brasile chi sono gli idoli tra i tuoi connazionali?
«Kakà e Ronaldo, che è tornato a fare molto bene. Poi ce ne sono tanti altri, ma loro due sono in vetta alla classifica delle preferenze della gente».
– Proprio Kakà è finito, assieme a Cristiano Ronaldo, al Real Madrid. Sarà questa la squadra da battere?
«Secondo me la squadra da battere è il Barcellona, che ha vinto tutto. Il Real ha preso grandi campioni, ha costruito una squadra forte, ma lo deve ancora dimostrare sul campo».
– Il Barcellona di Guardiola, il Milan di Leonardo, la Juve di Ferrara. Largo ai giovani…
«È una politica che mi piace molto. Pensate che Leonardo è stato mio compagno di squadra nel Flamengo! Sinceramente penso che un allenatore giovane, che ha smesso da poco i panni di calciatore, conosca bene i giocatori e sappia come trattarli».
– Tu sei uno che in squadra fa gruppo o sei piuttosto un solitario?
«Scherziamo? Ritengo che il gruppo sia fondamentale, perché quando giochi in una squadra dove non c’è armonia non vinci niente, mentre a volte una squadra meno forte di altre, ma che ha un gruppo solido, vince».
– Sotto quest’aspetto sei già in perfetta sintonia con il tuo nuovo allenatore, la cui filosofia è proprio questa…
«Bene, quindi non resta che mettersi al lavoro per fare una grande stagione».
– Dove può arrivare questa Juve?
«Come ho detto per il Real Madrid, anche noi abbiamo tutto da dimostrare sul campo. Ma sono certo che la Juventus può giocarsela con chiunque, in Italia e in Europa».
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Debutta in campionato il 30 agosto seguente in trasferta contro la Roma, segnando anche il gol del 3-1 finale dopo una stupenda progressione palla al piede. Si ripete andando in rete anche il 7 novembre contro l’Atalanta, con un tiro dalla distanza sotto l’incrocio dei pali e nella gara di ritorno contro i bergamaschi, mette a referto il decisivo gol del 2-1 con un colpo di testa. Disputa però un campionato al di sotto delle aspettative, sicuramente non all’altezza dell’enorme cifra spesa per acquistarlo: questa situazione lo porta a un rapporto difficile con i tifosi, che spesso lo contestano. Comunque sia, ha la piena fiducia sia di Ferrara sia di Zaccheroni e, al termine della sua prima stagione in bianconero, colleziona 40 presenze e 3 gol.
Quella stessa estate è convocato dal C.T. brasiliano, Carlos Dunga, per il Mondiale 2010 in Sudafrica, dove i verdeoro sono eliminati ai quarti di finale contro l’Olanda. In questa partita, dopo aver fornito l’assist a Robinho per il gol del vantaggio, causa un’autorete, perde la marcatura di Sneijder su un calcio d’angolo, consentendogli di segnare di testa il gol del definitivo 2-1, e rimedia un’espulsione dopo un pestone all’avversario, subendo aspre critiche in patria. «Dopo il Mondiale non avevo più motivazioni per giocare. Non avevo allegria e avevo deciso di lasciare il calcio. Ho giocato un buon Mondiale, ma in Brasile dicevano tutti che si era perso per colpa di Felipe. Non è giusto. Chi ne capisce di calcio, sa che basta vedere gli occhi dei giocatori olandesi prima della mia espulsione per capire come mai hanno vinto. Io non sono un angelo, ho capito che posso essere duro, ma senza esagerare. A 27 anni si può ancora cambiare. La fiducia di Delneri e Marotta? Questo mi ha aiutato a cambiare, ho capito che c’è chi crede in Felipe Melo».
Parte da titolare anche la stagione successiva e realizza il suo primo gol stagionale, su rigore con tanto di “cucchiaio”, nella partita casalinga col Lecce vinta per 4-0. Il 6 gennaio, nella partita casalinga persa contro il Parma, al 16’ del primo tempo è autore di un fallo di reazione ai danni di Paci che gli costa l’espulsione e lo obbliga a scontare tre giornate di squalifica. Rientra nella gara del 30 gennaio persa all’Olimpico contro l’Udinese per 1-2. Chiude la sua seconda stagione bianconera con 38 presenze e un gol.
Il 22 luglio 2011 è ceduto in prestito oneroso al Galatasaray, terminando la sua avventura a Torino, senza lasciare un ricordo particolarmente felice.

1 commento:

Giuliano ha detto...

bisognerebbe detrarre il suo ingaggio per i prossimi tre anni dalla liquidazione di chi ha speso quella cifra per comperare un mediano come ce ne sono tanti (vale a dire: Monsieur Blanc).
Bastava tenere Nocerino...